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Cosimo Ferri
Perdita di due anni di anzianità. È questa la sanzione inflitta dal Csm nel disciplinare lampo a carico dell’ex sottosegretario Cosimo Ferri, sanzione più lieve rispetto a quanto chiesto dalla procura generale della Cassazione, che aveva invocato una sospensione di sei mesi.
Ferri, magistrato in aspettativa ed ex parlamentare, è finito sotto procedimento disciplinare con l'accusa di aver tenuto un comportamento «gravemente scorretto» nei confronti dei giudici della Cassazione per aver accompagnato a casa di Silvio Berlusconi, in almeno tre occasioni tra il 2013 e il 2014, il giudice Amedeo Franco (ora scomparso), componente del collegio che pochi mesi prima aveva condannato l’ex premier per reati fiscali.
Secondo l’accusa, Ferri avrebbe così reso possibile «la condotta gravemente scorretta» del giudice, secondo la procura generale «già a lui anticipata», nei confronti dei componenti del collegio definiti da Franco «un plotone di esecuzione», costituito da «quattro ultimi arrivati» che «non capivano niente». «I magistrati sono stati accusati di essere dei congiurati, questo è il fulcro della contestazione, e non esistono dubbi sul fatto che Ferri sapesse cosa Franco volesse andare a dire a Berlusconi», ha detto il sostituto procuratore generale della Cassazione Giovanni Di Leo.
«La condizione di fuori ruolo - ha aggiunto - non incide sul dovere di rispetto e correttezza nei confronti dei colleghi, anzi semmai lo rafforza per un magistrato prestato a un incarico politico come membro dell'esecutivo». Durante l’udienza l’ex deputato ha ribadito la correttezza del suo comportamento, sottolineando di non aver screditato nessuno. «Il mio ruolo era quello di sottosegretario, svolgevo le mie funzioni politiche e non di magistrato. Perché Franco si è rivolto a me? Si rivolgeva a tutti. Ho la coscienza a posto».
«Leggeremo le motivazioni e faremo, ovviamente, ricorso per Cassazione, perché noi siamo convinti dell’assoluta innocenza rispetto a queste incolpazioni del dottor Ferri», ha commentato al Dubbio Luigi Antonio Panella, difensore dell’ex sottosegretario. Nella memoria difensiva depositata al Csm il legale aveva evidenziato come Ferri, all’epoca dei fatti, fosse fuori ruolo, contestando il difetto di giurisdizione della sezione disciplinare del Csm a causa dell’inapplicabilità al caso dell’articolo 2 del D. Lgs. n. 109/ 2006, che prevede ( in modo tassativo), gli “illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni”.
Quello di sottosegretario è invece un organo di governo «e non svolge quindi in alcun modo le “funzioni” di magistrato, ma funzioni politiche e di governo, per cui attribuire a un sottosegretario di Stato “l'esercizio delle funzioni” di magistrato ai sensi dell’art. 2 D. Lgs. n. 109/ 2006 costituisce una manifesta violazione non solo del principio di tassatività dell’illecito disciplinare, ma anche una violazione dell’art. 10 della L. n. 400/ 1988, dell’art. 1 L. n. 215/ 2004 e dell’art. 1 L. n. 244/ 2007». Ma al netto di ciò, le condotte ipotizzate, secondo la difesa, non trovano riscontri e, anzi, vengono smentite dal contenuto delle registrazioni di quegli incontri.
Alla base della contestazione vi è l’ipotesi che Franco avesse anticipato a Ferri il contenuto di ciò che avrebbe voluto rivelare a Berlusconi, ma di ciò «non vi è alcun riscontro. Si tratta di una pura illazione, smentita con decisione dal dottor Ferri», afferma il legale. Inoltre i rapporti tra Ferri e Franco erano «solo di conoscenza superficiale»: il giudice avvicinò il politico in occasione di un convegno, un incontro fugace durante il quale Franco parlò a Ferri di un libro di Bruno Vespa, uscito circa un mese prima, che l’allora sottosegretario non aveva letto. «Franco non comunicò al dottor Ferri il contenuto del libro, ma solo che avrebbe voluto parlare con l’onorevole Berlusconi per chiarire quello che Vespa aveva scritto. Ferri, che sapeva chi era il dottor Franco e quello che aveva fatto, intuì che il suo interlocutore, magistrato molto stimato ma che egli conosceva poco, viveva un travaglio interiore e si rese disponibile a quanto il dottor Franco gli chiedeva, cioè un incontro con l’onorevole Berlusconi».
Inoltre, Ferri non avrebbe avvalorato, così come sostenuto dal pg, l’accusa mossa da Franco nei confronti del collegio che giudicò Berlusconi. «In realtà, il dottor Ferri non può aver “avvalorato” o “mostrato assenso” rispetto ad alcunché - ha evidenziato la difesa - perché non era presente».