«Mi ritengo ingiustamente incolpato. All’epoca avevo un ruolo politico, ero sottosegretario alla giustizia, non svolgevo attività giudiziaria». Così Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa ed ex parlamentare,  si è difeso davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Ferri è a processo con l’accusa di avere tenuto un «comportamento gravemente scorretto, in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza» nei confronti dei giudici della Suprema Corte per avere accompagnato per tre volte a casa di Silvio Berlusconi, tra la fine del 2013 e i primi mesi del 2014, il giudice relatore del processo Mediaset, Amedeo Franco, componente della Sezione feriale che il 1 agosto 2013 confermò la condanna del leader di Forza Italia per frode fiscale. E secondo la procura generale della Cassazione avrebbe avallato la posizione del giudice, morto nel 2019, che prendeva le distanze dai suoi colleghi definiti "plotone di esecuzione", e dalla sentenza. «Dalle trascrizioni delle conversazioni emerge che non dico niente contro il collegio - ha sottolineato Ferri - mi si contesta di avallare. Se si leggono le conversazioni non intervengo mai, non faccio mai un commento negativo né condivido alcun giudizio del presidente Franco».  E ha spiegato che non era a conoscenza, prima dell’incontro, di quello che il giudice voleva dire a Berlusconi «Assolutamente non sapevo i contenuti del colloqui, avvertivo solo il disagio di Franco». Ferri ha poi definito il processo disciplinare «un procedimento politico» e ha citato il togato Giuseppe Cascini, componente del collegio, ricordando come avesse «nel suo ruolo di segretario dell’Anm più volte attaccato Berlusconi». Su questo punto è intervenuto il presidente del collegio, il laico M5S Fulvio Gigliotti, respingendo con forza queste affermazioni: «noi facciamo procedimenti disciplinari che hanno carattere giurisdizionale, non procedimenti politici».