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C’è un discorso che incornicia gli altri, nell’intenso pomeriggio “politico” del congresso nazionale forense al Lingotto di Torino: il tempo necessario alle riforme. Alla separazione delle carriere, al premierato, alle norme sull’intelligenza artificiale e anche alla nuova legge professionale forense. A parlarne è innanzitutto un’avvocata, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che ha vissuto e vive le istituzioni in prima linea da diversi anni: parlamentare, poi laica Csm, seconda carica dello Stato e ora, appunto, ministra per le Riforme: «Attenti a considerarne l’importanza», dice appunto a proposito delle riforme che danno il nome al suo dicastero, «noi intanto abbiamo avuto l’opportunità di discutere e di aver quasi approvato la separazione delle carriere perché l’attuale Esecutivo è stabile, duraturo. Con i 18 mesi di vita media dei vecchi governi, le riforme venivano neppure avviate. E la stabilità, non casualmente, è considerata sinonimo di credibilità dalle agenzie di rating».
Ecco, le parole di Casellati sono un po’ la premessa necessaria delle due discussioni successive: la tavola rotonda con capigruppo e responsabili Giustizia dei partiti e l’intervista al viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, che dialoga sul palco con il direttore del Dubbio Davide Varì. Sisto non disdegna i temi di chi lo ha preceduto, ma ne lascia intravedere un altro pure importante, che poi è il cuore della relazione presentata poche ore prima, sempre al congresso forense ma su un altro palco torinese, quello del Teatro Regio, dal presidente Cnf Francesco Greco: «L’urgente ritorno all’oralità nel processo». Il numero due di via Arenula sa bene che il nodo può essere sciolto da un provvedimento ora in prima lettura al Senato che supera, almeno su un punto, le distorsioni degli ultimi anni: restituisce agli avvocati il diritto di scegliere l’udienza dal vivo.
Il viceministo è chiarissimo nel ricordare i principi che sorreggono il proposito: «Con l’intelligenza artificiale», fa notare, «si realizza un curiosi livellamento verso l’alto, anche per la professione forense: un legale non preparato, se inserisce i quesiti e le premesse giuste, può ottenere dal robot una buona memoria difensiva, un ricorso conservativo ben scritto. E rischia così di prevalere sul collega che invece, nella discussione orale, avrebbe esposto le ragioni del proprio assistito in modo assai più convincente. Ecco perché io sostengo l’urgenza di un ritorno all’umanesimo della giustizia».
D’altra parte Sisto non nega di scorgere, dietro l’uso dell’Ia, aspetti «assai più preoccupanti riguardo alla magistratura piuttosto che alla professione forense. Faccio spesso l’esempio del giudice tennista: se devo rispondere a una richiesta di misure cautelari avanzata dalla Procura, e però ho anche un incontro di tennis che mi aspetta, posso essere tentato dall’inserire nel programma i nomi di Tizio, Caio e Sempronio, destinatari delle richieste del pm, e magari la macchina mi dirà che in carcere deve finire Sempronio, e io giudice utilizzerò quell’atto predisposto freddamente, senza alcun elemento di umanità. Che invece, quando è in gioco la vita delle persone, dovrebbe sempre prevalere».
E un discorso che, nella tavola rotonda precedente, moderata da Andrea Pancani de La7, trova corrispondenza soprattutto nelle parole di Maria Elena Boschi, di Italia viva: «Noi legislatori facciamo fatica a star dietro, a volte, alle trasformazioni della tecnologia. Che spesso sconvolgono la vita delle persone. E l’avvocato può davvero svolgere una funzione straordinaria a tutela delle liberà fondamentali che le innovazioni possono mettere in pericolo. In modo creativo, l’avvocato può trovare soluzioni che garantiscano i diritti rispetto a una tecnologia incapace dio proteggere empaticamente le persone».
D’altra parte la grandezza della funzione che spetta al difensore, alla professione forense, è nelle parole di Francesco Urraro, già senatore leghista in commissione Giustizia e ora laico del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa: «Siamo nella terra di Lidia Poët e del presidente Croce, di grandi martiri che hanno dimostrato cosa significhi essere avvocato. La nostra missione consisterà sempre nella custodia dei diritti fondamentali». Ed è per questo che la politica, dal palco del lingotto, riserva una particolare attenzione alla riforma ordinamentale forense: è la capogruppo di FdI in commissione Giustizia alla Camera, Carolina Varchi, ad assicurare che «daremo seguito allo sforzo di condivisione compiuto dall’avvocatura, che ha affidato alla politica un testo sulla nuova legge professionale frutto della condivisione, promossa dal Cnf in particolare, e dalla convergenza di quasi tutte le componenti, istituzionali e associative. Non vedo perché in Parlamento non dovremmo replicare questa coesione e fare nostro l’articolato che la professione forense ci ha affidato».
Non è del tutto d’accordo la responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani: «Non rinunceremo a esaminare con occhi laici il provvedimento, anche se abbiamo ben presente l’importanza di alcuni contenuti in particolare, come il superamento di alcune incompatibilità, come quelle relative ai ruoli apicali nelle società, considerato che la competenza degli avvocati è preziosissima per la vita economica. D’altra parte la forma della legge delega non aiuterà il Parlamento a correggere aspetti dove si poteva osare di più, come per la monocommitenmza».
È un discorso su cui insiste molto la capogruppo Giustizia del M5S al Senato Ada Lopreiato, avvocata come tutti gli altri partecipanti alla tavola rotonda: «Non potremo incidere, soprattutto perché quando la riforna forense sarà declinata in modo effettivo, con i decreti legislativi, il Parlamento potrà solo esprimere dei pareri, e l’ultima parola spetterà al solo Esecutivo. Sulle esclusive come sulle società di professionisti, per esempio, ci sono ambiguità che avrebbero meritato un approfondimento».
D’altra parte ciò che conta, dice il deputato di Forza Italia Enrico Costa, che della commissione Giustizia è vicepresidente, «fra il Parlamento e l’avvocatura deve esserci ed esiste uno scambio quotidiano: riguarda la legge professionale come la separazione delle carriere. Necessaria se solo pensate che dal più alto grado di giudizio, la Cassazione, si è arrivati a sostenere, nel 2020, che i consulenti tecnici del pm sono intrinsecamente più rilevanti di quelli della difesa perché il pm ha, in quanto compartecipe della giurisdizione, maggiore credibilità della parte privata». E sì, come dice Costa, rispettare gli avvocati vuol dire anche fare in modo che la parità sancita dall’articolo 111 non si perda in paradossi del genere.


