Nell’ultimo decennio l’avvocatura italiana ha vissuto una delle stagioni più intense e complesse della sua storia recente. È stato un periodo di riforme, di battaglie per il riconoscimento del ruolo sociale dell’avvocato, di transizione verso un mondo professionale più moderno, ma anche più esigente. Sono stati, soprattutto, gli anni in cui ha operato l’Organismo Congressuale Forense (OCF), il soggetto politico rappresentativo dell’avvocatura, nato nove anni fa per dare attuazione alle mozioni e agli indirizzi del Congresso Nazionale Forense e per essere la voce unitaria della categoria nel dialogo con le istituzioni.

Ho avuto l’onore di far parte dell’OCF fin dalla sua nascita, partecipando al suo Ufficio di Coordinamento e condividendo con tanti colleghi un percorso impegnativo, a volte difficile, ma sempre animato da un senso di responsabilità e di appartenenza. Quest’anno, con il Congresso Nazionale Forense di Torino, il mio mandato si è concluso con l’elezione della nuova assemblea: un passaggio che segna la fine di un ciclo e l’inizio di una nuova fase per l’organismo e per l’intera avvocatura.

Guardando a questi anni, ciò che colpisce è la portata dei cambiamenti. Il primo e più visibile è stato quello della digitalizzazione della giustizia. La pandemia ha accelerato un processo che era già in corso, ma che improvvisamente è diventato imprescindibile. Il Processo Civile Telematico, le udienze da remoto, la firma digitale, le notifiche via PEC: strumenti che oggi diamo per scontati, ma che solo pochi anni fa erano fonte di diffidenza e difficoltà. Questo passaggio epocale ha richiesto un grande sforzo di adattamento, non solo tecnico ma anche culturale. E l’avvocatura, pur tra mille ostacoli, ha dimostrato una straordinaria capacità di resilienza, assicurando continuità al servizio della giustizia anche nei momenti più critici.

Accanto al digitale, un altro terreno di confronto è stato quello dell’accesso alla professione. L’esame di Stato, da sempre banco di prova e rito di passaggio, ha conosciuto continue modifiche nella forma e nella sostanza. Si è cercato di trovare un equilibrio tra rigore e modernità, ma le incertezze e le sperimentazioni hanno spesso messo a dura prova le nuove generazioni di avvocati. In questi anni l’OCF ha dato voce alle loro istanze, chiedendo regole più chiare, percorsi formativi coerenti e un’attenzione maggiore alle condizioni dei giovani professionisti, troppo spesso schiacciati tra precarietà e carenza di prospettive.

In parallelo, si è riacceso il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense, che dopo oltre dieci anni dalla sua approvazione va ora incontro ad un necessario aggiornamento. Le nuove modalità di esercizio della professione — dalle società tra avvocati agli studi multidisciplinari, fino alla crescente dimensione tecnologica — richiedono norme al passo con i tempi. L’avvocatura, attraverso l’OCF, ha cercato di orientare questo processo, riaffermando principi che non devono mai essere messi in discussione: l’indipendenza dell’avvocato, la centralità del diritto di difesa, la tutela dei cittadini più deboli.

Non meno importante è stata la battaglia per l’equo compenso, tema che tocca l’essenza stessa del valore del lavoro forense. Dopo anni di mobilitazioni, la legge è arrivata, ma la sfida ora è renderla effettiva. L’equo compenso non è solo una questione economica: è un principio di dignità, di equilibrio nei rapporti contrattuali e di rispetto per la funzione che l’avvocato svolge nel garantire i diritti di tutti.

Nel frattempo, si è affacciato sulla scena un nuovo protagonista: la tecnologia intelligente. L’intelligenza artificiale e le piattaforme automatizzate promettono di semplificare la ricerca giuridica e la gestione dei contenziosi, ma sollevano interrogativi etici e deontologici di grande portata. In un tempo in cui la velocità rischia di prevalere sulla riflessione, l’avvocato è chiamato a mantenere il suo ruolo di garante dell’umanità del diritto. L’OCF ha voluto essere parte attiva di questo confronto, ricordando che l’innovazione deve essere governata e mai subita.

Anche la struttura stessa della professione è cambiata. Gli studi legali si sono evoluti: crescono le società tra avvocati, si consolidano reti e alleanze tra professionisti, si sperimentano modelli organizzativi più flessibili. È una trasformazione inevitabile, ma che impone di preservare la libertà e l’autonomia che sono alla base dell’identità dell’avvocatura.

Ripensando a questi nove anni, mi resta la convinzione che il vero valore dell’esperienza dell’OCF sia stato quello di aver dato una voce politica unitaria a una categoria troppo spesso frammentata. L’avvocatura italiana ha bisogno di unità per affrontare le sfide che l’attendono: la riforma della giustizia, la tutela dei diritti, la transizione digitale, la valorizzazione delle competenze.

Il Congresso di Torino ha aperto una nuova fase. A chi oggi raccoglie il testimone, va l’augurio di proseguire questo cammino con la stessa passione e con la consapevolezza che ogni battaglia per l’avvocatura è, in fondo, una battaglia per la giustizia e la libertà dei cittadini.

*Avvocato del Foro di Foggia, già componente dell’Ufficio di Coordinamento dell’Ocf