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«Se ci si ferma a riflessioni di buonsenso, che sono quelle di favorire il più possibile la femminilità, con i nomi professionali, lì sono assolutamente d’accordo. Ma il problema è un altro, ci sono molte donne che non vogliono assolutamente farsi chiamare avvocata. Le donne che per fortuna svolgono la professione legale sono la metà, e cosa facciamo? Imponiamo loro una forma in cui non si riconoscono, a torto o a ragione? Mi sembra una forma di violenza legata a delle cerchie ristrette di persone che non possono decidere, imponendo e superando la sensibilità delle altre e degli altri». A dirlo è Luca Serianni, celebre linguista e filologo, professore emerito di storia della lingua italiana all’Università La Sapienza e socio dell’Accademia della Crusca, il quale commentando la questione delle linee guida sul linguaggio inclusivo pubblicate dalla Commissione europea (e poi ritirate), rispolvera il tema dei femminili professionali. «Mi pare che sia un problema da ricondurre a semplici ragioni di buonsenso ma si può prevedere che, via via che le donne estendono la loro presenza in campi tradizionalmente maschili, alla fine non ci si farà più caso. Come del resto si è cominciato a fare con ministra, sindaca... - ha aggiunto l’accademico -. Di fatto la società è andata molto più avanti e in modo più rapido della lingua e ha dato piena applicazione all’articolo 3 della Costituzione. La società cambia e certe tendenze si affermano». «C’è stata una grande polemica sullo schwa, che mi pare adesso un po' superata - ha precisato il linguista -. Il problema può essere sì l’eliminazione del genere maschile e femminile, ma c’è anche il problema dell’identità di genere, di persone che non si riconoscono nell’uno o nell’altro genere. Ad ogni modo, le proposte che sono state fatte, l’asterisco e lo schwa, sono proposte puramente velleitarie perché riguardano semmai la lingua scritta e non quella orale. Mi pare che ci sia una componente ideologica un po' prevaricante».