«L’esperienza di sensibilizzazione e comunicazione condivisa con la rete
Di.re, con un focus comune sul tema della prevenzione, costituisce un esempio di buona prassi nell’ambito delle azioni di contrasto alla violenza di genere». Così la presidente del
Consiglio Nazionale Forense, Maria Masi, presenta la campagna “
Direagire” promossa dalla Commissione integrata per le pari opportunità del Cnf insieme all’Associazione D.i.Re, Donne in rete contro la violenza.
Nella “Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne”, che ricorre ogni anno il 25 novembre, Masi conferma l’impegno dell’avvocatura sul campo e invia un messaggio forte e chiaro alle istituzioni: è fondamentale imparare a riconoscere la violenza, per contrastarla e prevenirla con tutti gli strumenti a nostra disposizione, a partire dalla formazione.
L’appuntamento del 25 novembre è anche l’occasione per fare il punto sulle attività di contrasto alla violenza di genere. Qual è l’impegno del Cnf in tal senso?
Il Cnf ha sempre avuto un’attenzione particolare al fenomeno della violenza di genere anche grazie all’attività e alle funzioni della Commissione per le pari opportunità costituita in seno al Consiglio e integrata con il contributo dei Cpo (Comitati pari opportunità) che operano sui territori afferenti agli ordini circondariali presso cui sono costituiti.
Con quali strumenti e attività?
Le iniziative sono numerose, e vanno dal monitoraggio degli strumenti normativi alla formazione specifica delle avvocate e degli avvocati. Non solo sul tema della violenza di genere, ma anche su quello più ampio della tutela antidiscriminatoria. Inoltre, cerchiamo di mantenere vivo il nostro impegno attraverso un’interlocuzione costante con istituzioni nazionali e locali.
A questo proposito, in più occasioni Lei ha sottolineato la necessità di mettere in rete istituzioni e associazioni impegnate sul campo. Ha in mente un modello virtuoso?
È possibile realizzare un modello virtuoso se si riesce a mettere a disposizione dell’altro la propria esperienza e competenza, quindi condividendo le informazioni per mettere in atto azioni sinergiche che tengano conto degli obiettivi da conseguire senza riserve e senza pregiudizio nei confronti di chi opera. In questa occasione, ad esempio, l’esperienza di sensibilizzazione e comunicazione condivisa con la rete Di.re, e quindi con i centri antiviolenza, per analizzare le problematiche sottese attraverso un focus comune sul tema della prevenzione, costituisce un esempio di buona prassi.
Oltre alla violenza fisica, esiste un tipo di violenza invisibile, che agisce a livello psicologico ed economico. Sia in ambito familiare che lavorativo.
La violenza fisica e i reati efferati commessi a danno di donne e bambini (come conferma purtroppo la cronaca quasi quotidianamente) si alimenta e si compone di tanti aspetti: le pressioni sotto il profilo psicologico finalizzate a minare l’equilibrio e a provocare vulnerabilità, se abbinate a una soggezione di natura economica per mancanza di reddito individuale adeguato, diventano insostenibili. Che ruolo ha l’avvocatura in questo ambito? Coerentemente con la sua funzione sociale, l’avvocatura ha il delicato ma fondamentale compito di intercettare i bisogni e renderli riconoscibili e riconosciuti quali diritti fondamentali.
Anche l’informazione e il linguaggio hanno un ruolo fondamentale nel raccontare la violenza. A che punto siamo?
L’informazione e il linguaggio giornalistico hanno grosse responsabilità nel distorto processo di rappresentazione della violenza, in molti casi al limite della violazione dei principi etici che dovrebbero guidare una corretta comunicazione.
Una delle conseguenze è la “vittimizzazione secondaria”, cioè la colpevolizzazione delle vittime di violenza da parte dei media o delle istituzioni. Un fenomeno che può avere luogo anche nelle aule di tribunale. Le novità introdotte con la riforma del processo civile rappresentano un passo in avanti in questo senso?
La vittimizzazione secondaria è stato un aspetto ignorato e trascurato per molto tempo.I principi e le norme introdotte nella proposta di riforma, se correttamente applicate all’esito di un celere ma qualificato accertamento, possono rappresentare un punto di svolta soprattutto nell’ottica della equa considerazione delle azioni e delle conseguenze a danno di chi subisce violenza.
Alcuni avvocati e giuristi nutrono invece dei dubbi sulla disciplina introdotta con il “Codice rosso” in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
Il Codice rosso, inteso come mero strumento normativo, e quindi in assenza di un sistema che abbia a disposizione risorse adeguate per attuarne i contenuti, si rivela come è evidente ancora insufficiente.