«La voce degli avvocati è chiara: serve una legge sul fine vita che tuteli la libertà e la dignità della persona, senza ambiguità né zone grigie. Ora che il Parlamento sta discutendo il testo, è il momento di decidere con coraggio e responsabilità». È il presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco a riassumere e tradurre in parole ciò che i numeri raccontano in maniera nitida: il 77 per cento degli avvocati italiani tra i 25 e i 44 anni si dichiara favorevole all’introduzione di una legge sul fine vita.

Quasi otto professionisti su dieci, dunque, che con diverse sensibilità sostengono la necessità di semplificare le procedure e ampliare la platea di persone che possono accedere al suicidio assistito secondo i requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale. All’interno della stessa percentuale si distingue il 31 per cento degli intervistati, che aprirebbe anche all’ipotesi di eutanasia attiva, attualmente illegale in Italia. I dati sono cristallizzati in un’indagine Ipsos commissionata lo scorso marzo dal Cnf per analizzare l’orientamento della categoria forense su un tema di crescente rilevanza nel dibattito etico, giuridico e civile del Paese. Soprattutto ora che il testo base della maggioranza adottato al Senato ha cominciato il suo iter parlamentare con l’obiettivo di approdare in Aula prima della pausa estiva, il 17 luglio o poco più tardi.

I dati: opinioni personali

Lo studio ha coinvolto un campione di 5.500 avvocati, diviso per fasce d’età e specializzazione. Le domande sono suddivise per aree tematiche e puntano a delineare un quadro che dia conto dei risvolti etici e legali delle questioni indagate. Laddove le opinioni personali degli intervistati sono strettamente connesse al ruolo e alla funzione attribuita all’avvocatura nel presidiare e difendere i diritti dei cittadini.

L’analisi parte dai principi generali: sei avvocati su dieci (il 62 per cento) si dichiarano favorevoli al diritto di ogni individuo di scegliere in autonomia il percorso di cura nel fine vita, inclusa l’eutanasia. Tra gli under 45, la percentuale sale oltre il 70. Il consenso complessivo arriva all’82 per cento se si includono coloro che sono favorevoli a tutte le scelte di fine vita in casi molto specifici e controllati. Tra gli avvocati con più di 74 anni, questa posizione è condivisa dal 28 per cento. Solo il 12 per cento degli intervistati si oppone per motivi etici o religiosi, mentre il 5 per cento si dichiara indeciso.

Gli intervistati si esprimono anche sul testamento biologico, disciplinato dalla legge 219 del 2017: sette intervistati su dieci, soprattutto nella fascia d’età 25-34 anni, lo considerano uno strumento fondamentale per esprimere le proprie volontà sui trattamenti medici in caso di incapacità. La percentuale sale a nove su dieci se si include anche chi si dichiara favorevole ma con alcune riserve. A livello personale, uno su due, specialmente tra i più giovani, è favorevole a soluzioni come il suicidio assistito o l’eutanasia attiva qualora un familiare soffra di una malattia incurabile. I contrari sono il 12 per cento.

Le implicazioni professionali

Al dato sui convincimenti personali, l’indagine Ipsos aggiunge quello legato alla professione, interrogata rispetto alla necessità di assistere al meglio un cliente che si trova ad affrontare decisioni di fine vita. Da questo punto di vista, sei avvocati su dieci si riconoscono un ruolo cruciale, garantendo la piena consapevolezza delle implicazioni legali delle proprie scelte e la tutela dei diritti dell’assistito in ogni fase del processo decisionale. Fornire una consulenza legale completa e aggiornata sulle normative in vigore, dal testamento biologico alla pianificazione successoria, è il miglior modo di aiutare un cliente per il 58 per cento del campione intervistato. Aiutare il cliente a redigere un testamento biologico chiaro, che rispetti le sue volontà, è fondamentale per il 53 per cento degli avvocati. E oltre il 30 per cento considera importante favorire un dialogo aperto e costruttivo tra il cliente, i familiari e il personale medico.

Il nodo relazionale si riflette nelle difficoltà percepite dalla categoria in questo ambito: la complessità e delicatezza delle situazioni da gestire, anche in presenza di dissenso tra cliente e familiari o dell’incapacità del cliente di esprimere le proprie volontà, rappresenta la principale sfida secondo sette intervistati su dieci. Soprattutto per chi si occupa di diritto penale della persona (il 74 per cento).

Il 41 per cento del campione si sofferma invece sulla necessità di interpretare e applicare una normativa in continua evoluzione. E circa un terzo degli intervistati mette in luce come questo ricada sulla responsabilità professionale dell’avvocato, a cui è richiesto un aggiornamento continuo per rimanere al passo con le novità legislative e giurisprudenziali. Solo una piccola parte del campione, circa il 20 per cento, manifesta difficoltà nel conciliare le proprie convinzioni etiche e morali con le richieste del cliente.

I modelli legislativi

L’indagine guarda anche alla normativa negli altri paesi, sottoponendo al campione i diversi modelli legislativi. Per quasi 1 intervistato su 3, il 31 per cento, il più efficace è quello adottato da Paesi Bassi e Belgio, che consentono sia l’eutanasia attiva che il suicidio assistito ai maggiorenni capaci di intendere e volere, affetti da malattie incurabili che causano sofferenze insopportabili. Se il modello più permissivo raccoglie il 31 per cento dei consensi (soprattutto per gli avvocati under 45 e gli avvocati specializzati in diritto penale della persona), a 15 punti di distanza troviamo quello francese, il più restrittivo dopo il modello adottato da Polonia e Irlanda. Almeno fino ad oggi, considerando che l’Assemblea nazionale lo scorso maggio ha approvato in prima lettura un testo che apre alla morte medicalmente assistita con il favore del presidente Emmanuel Macron, che aveva promosso una legge in tal senso in campagna elettorale. Solo il 6 per cento degli avvocati, invece, guarda alla Svizzera, che consente il suicidio assistito a determinate condizioni ma non l’eutanasia.

La normativa in vigore

Proprio la Svizzera è meta e tema ricorrente nel dibattito sul fine vita, per chi chiede di poter morire a casa propria senza dover raggiungere una clinica all’estero. Non accade di rado, infatti, che i pazienti in attesa di una risposta o che abbiano ricevuto un rifiuto decidano di affrontare il viaggio per porre fine alle proprie sofferenze. Spesso ingaggiando le lunghe battaglie legali che in questi anni hanno attraversato i tribunali italiani.

Per ottenere il via libera al suicidio assistito, in assenza di una legge nazionale, è necessario soddisfare i quattro requisiti stabiliti dalla Consulta con la sentenza 242 del 2019, la cosiddetta Cappato/Dj Fabo, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”. Uno dei quattro requisiti previsti, legato ai “trattamenti di sostegno vitale”, è stato esteso dalla Consulta con la sentenza 135 del 2024, che ha incluso in tali prestazioni anche l’assistenza fornita dai caregiver.

L’opinione degli italiani

Fotografare l’opinione degli italiani sui temi etici rientra tra le sfide più complesse. Perché oscilla, arretra, e spacca i cittadini quasi sempre a metà, come dimostra anche l’ultimo Rapporto Italia curato dall’Eurispes. Una larga maggioranza dice sì all’eutanasia (67,9 per cento), ma con una variazione nel dato storico: nel 2025 si registra uno dei valori minimi dei consensi tra quelli rilevati negli ultimi 6 anni (il più basso è quello del 2024: 66,7%). Il numero è comunque più alto di quello sul suicidio assistito, che nel 2025 raccoglie il 46,9 per cento di sì. Il dato si allarga di molto tra i giovani nella fascia 18-24 anni, che si mostrano i più aperti sui temi etici: il 79,2% del campione si esprime a favore dell’eutanasia e il 62,8 dei ragazzi dice sì al suicidio assistito. Il favore maggiore degli italiani, in assoluto, si registra sul testamento biologico (77,8%).