«L'assoluta impossibilità a comparire del difensore non va intesa in senso esclusivamente meccanicistico, come impedimento "materiale" a partecipare all'udienza», ma «può essere anche ascrivibile a situazioni gravi, sotto il profilo umano e morale, tali da essere assimilate al diritto di altro prestatore d'opera a essere giustificato per l'assenza dal luogo ove la prestazione deve essere eseguita».

A scriverlo, come ricordato dall’avvocato Riccardo Radi sul blog Terzultimafermata, è la VI sezione penale della Cassazione (32949/2012), secondo cui «non si comprende per quale ragione il difensore, al quale è attribuita un prestazione di opera intellettuale costituzionalmente riconosciuta e garantita, non possa usufruire» dello stesso trattamento riservato ai lavoratori dipendenti «in caso di eventi che comunque impongano rispetto "umano e morale».

Una sentenza esemplare che vale come monito nei giorni in cui l’avvocatura si stringe attorno alla collega Ilaria Salamandra, che con un video su Facebook ha denunciato il no pronunciato dalle giudici della II sezione penale del Tribunale di Roma alla sua istanza di legittimo impedimento, motivata dalla necessità di assistere il figlio di soli due anni ricoverato al Bambin Gesù di Roma per alcuni esami. Un rigetto che ha una motivazione incredibile: «Il bambino - hanno sostenuto le giudici - avrebbe potuto essere accompagnato dal padre». Salamandra aveva depositato l’istanza due giorni prima dell’udienza, nella quale era prevista l’audizione di un teste della procura, sottolineando di essere «il genitore di riferimento» che segue il bambino «sin dalla nascita» e di aver tentato di differire l’esame, ma senza riuscirci. Inoltre, aveva evidenziato l’impossibilità di «avvalersi di sostituti processuali, in ragione della delicatezza delle imputazioni, nonché del rapporto fiduciario» con il suo assistito.

Ma nulla da fare: l’udienza si è tenuta e il testimone è stato comunque sentito, «nonostante le scorse udienze siano state rinviate per assenza ripetuta del medesimo teste, ovviamente della procura - ha spiegato l’avvocata -. Ma non solo, la giudice ha anche chiesto al pm d’udienza il numero del Bambin Gesù, affinché potessero contattarmi per avere la mia autorizzazione a sentire il teste. Per lavarsi la coscienza. Tutto questo mentre mio figlio era sotto anestesia. Questo è il mondo che viviamo. Questi sono i soprusi a cui noi madri avvocato dobbiamo sottostare. Questi sono i deliri di onnipotenza di una certa magistratura, quella fatta di donne e uomini piccoli piccoli».

Ad intervenire nell’immediatezza è stato il Consiglio nazionale forense, che ha definito «ingiusta e in contrasto con i principi fondamentali della giustizia» la decisione del Tribunale, «in particolare per quanto riguarda il diritto alla difesa», ha sottolineato il presidente Francesco Greco. Che ha ribadito «l'importanza del rispetto dei diritti degli avvocati e dei loro clienti», annunciando la volontà di chiedere «al consiglio giudiziario di Roma di prendere provvedimenti per garantire che situazioni come questa non si ripetano in futuro». Ferma anche la reazione del presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma, Paolo Nesta. «Non è la prima volta che capita un episodio del genere nel Tribunale di Roma - ha sottolineato -. Ora questo nuovo caso, che lede non solo la dignità e il decoro della professione forense, ma la dignità stessa della donna: assurdo, in un'epoca in cui si parla di parità di genere e di cosa fare per eliminare le disparità».

Per la Camera penale di Roma si tratta della «ennesima manifestazione di un’idea proprietaria del processo da parte di alcuni magistrati che immaginano di poterlo amministrare a prescindere dal ruolo, dalle funzioni e dalle esigenze delle parti, specie della parte debole di tutta questa storia, l’imputato, al quale solo, come in passato abbiamo avuto modo di rimarcare, il processo per davvero appartiene. E questa idea non è tollerabile, né la sopporteremo oltre». A intervenire anche l’Organismo congressuale forense, che nel condannare l’episodio ha sottolineato come sia «intollerabile che, ancora oggi, gli avvocati si trovino costretti a ribadire ciò che è una garanzia di giusto processo e di tutela delle parti in causa e dei loro difensori: il legittimo impedimento che giustifica un doveroso rinvio dell'udienza». Ocf ha annunciato di riservarsi «ogni iniziativa a tutela degli avvocati e del loro fondamentale ruolo di difensori dei diritti». Ferma anche la condanna dell’Associazione nazionale forense, pronta a scendere in piazza: «Basta con l'arbitrio dei magistrati, che rinviano i processi senza ostacoli, con qualunque motivazione, mentre non si tutelano le avvocate e gli avvocati anche in casi gravi come questo», commenta il segretario generale Giampaolo Di Marco, che ha chiesto al Csm e al Presidente del Tribunale di Roma «un immediato intervento chiarificatore».

Solidarietà è giunta infine dall’Associazione italiana giovani avvocati: «Una vicenda che deve fare riflettere», si legge in una nota. A interrogare il ministro Carlo Nordio sull’accaduto è la deputata del M5S Stefania Ascari, che chiede se e quali attività «anche di carattere disciplinare» intenda porre in essere e se e quali iniziative di carattere normativo intenda adottare «perché sia effettivamente garantito da parte dell’autorità giudiziaria procedente il pieno rispetto dei principi e del diritto alla difesa, costituzionalmente garantito». «Il diritto di difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del giudizio ed è uno dei principi cardine del nostro ordinamento costituzionale - afferma Ascari -. Non è tollerabile che la funzione difensiva, indispensabile garanzia dei diritti e delle libertà dei cittadini, possa subire simili limitazioni».