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Il carcere non può negare una seconda chance. Al contrario: ad ogni persona ristretta bisogna garantire la possibilità di ricominciare, allontanando il rischio di riaprire i cancelli di ingresso a chi ci è già passato. È questo il messaggio che l’avvocatura ha voluto portare all’interno dell’istituto femminile di Rebibbia, dove oggi il presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco si è recato insieme a una delegazione di consiglieri nazionali e al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Stefano Carmine De Michele.
La visita istituzionale nel penitenziario romano è stata l’occasione per ribadire l’impegno della professione forense nel campo dei diritti, attraverso un gesto concreto e utile, volto ad alleviare le condizioni di detenzione nella torrida estate italiana: una fornitura di cento ventilatori, di cui una prima parte è stata consegnata direttamente nelle mani delle detenute, insieme a una raccolta di giocattoli e vestiti nuovi per le madri ristrette insieme ai propri figli. Il carcere femminile romano, il più grande d’Europa, ne ospita cinque: bimbi di età compresa tra i sei mesi e i due anni, per un totale di 17 donne e 19 figli presenti nelle sei strutture attive su tutto il territorio nazionale.
Numeri “piccoli”, che però denunciano un’ulteriore marginalizzazione e disattenzione verso la detenzione femminile, che rappresenta meno del 5 per cento della popolazione carceraria italiana: 2.747 donne, a fronte di 62.728 detenuti maschi, secondo gli ultimi dati del ministero della Giustizia aggiornati al 30 giugno 2025. «La nostra presenza - ha dichiarato Greco - vuole accendere un faro su una realtà troppo spesso dimenticata. Il sovraffollamento, l’inadeguatezza strutturale, la marginalità sociale delle persone recluse - in particolare delle donne e delle detenute madri - e l’assenza di percorsi efficaci di reinserimento sono contraddizioni che l’avvocatura istituzionale ha il dovere di affrontare. Gli avvocati devono essere presidio attivo di legalità e dignità anche oltre le mura del carcere, per difendere i diritti fondamentali e ricostruire il senso autentico della giustizia».
«La vera svolta passa dalle misure alternative: affidamento in prova, detenzione domiciliare, percorsi di reinserimento. Restituire a queste persone una possibilità concreta di riscatto - ha sottolineato il presidente del Cnf - è il modo più autentico di dare attuazione al principio rieducativo della pena. L’80% dei detenuti proviene da contesti di disagio sociale estremo, ma il 98,9% di chi accede a misure alternative rispetta le regole. L’avvocatura c’è, ed è pronta a fare la sua parte».
Sull’importanza del lavoro per garantire il reinserimento sociale si è soffermato anche De Michele, che ha fatto il suo primo ingresso nell’istituto romano dopo la recente nomina a guida del Dap. «Oggi siamo qui - ha spiegato - grazie all’organo massimo dell’avvocatura e nell’ambito di una serie di attività che gli avvocati stanno portando avanti sia su base nazionale che attraverso gli Ordini locali. Un’iniziativa che è simbolica, ma anche molto concreta. Io ringrazio il Consiglio e il suo Presidente che hanno avuto questa squisita sensibilità». «Cercheremo di sviluppare e ampliare ogni iniziativa che serva a portarvi da dentro a fuori, a fare in modo che il percorso che giustamente qui fate vi porti e pensare “mai più questo”», è l’auspicio espresso da De Michele nel rivolgersi alla rappresentanza di donne detenute che hanno preso parte all’incontro nella sala teatro del carcere alla presenza del vice direttore Mario Silla e del vice comandante del reparto di Polizia penitenziaria Tommaso Marghella. Il quale ha ribadito ancora una volta il fine rieducativo della pena, senza trascurare tutte quelle criticità del sistema penitenziario che rischiano di infliggere una “pena doppia”, o tripla, a chi sta pagando il proprio debito con la giustizia. Soprattutto per il caldo estremo aggravato dal sovraffollamento, che si patisce anche in alcuni reparti femminili di Rebibbia.
In tutto, l’istituto romano ospita circa 360 donne su 280 posti regolamentari, di cui 270 in esecuzione di pena. Dal punto di vista trattamentale - sottolinea la direzione - l’istituto romano è un modello “esemplare”: le donne posso cimentarsi quotidianamente nelle attività sportive disponibili, dal pilates alla pallavolo, e hanno anche una squadra di calcio a cinque. Oltre ai laboratori e alle possibilità di lavoro interno, una parte di detenute è impiegata presso cooperative esterne. E almeno dieci donne sono iscritte all’Università, con la prima ristretta che conseguito la laurea lo scorso dicembre.
Dell’importanza di preparare al “reingresso” nella società chi sta scontando una pena ha parlato anche Francesca Palma, consigliera Cnf e coordinatrice della Commissione per le persone private della libertà personale. «Certo, l’avvocatura non vorrebbe mai vedere i bambini in carcere, a nessuna età: lo abbiamo sempre sostenuto e continueremo a farlo. Ma siamo qui per testimoniarvi che la difesa è importante in tutti i gradi del processo e in particolare nell’esecuzione penale», ha sottolineato Palma. Richiamando anche il messaggio lanciato da Greco: la funzione dell’avvocato non si esaurisce alla lettura della sentenza, ma va ben oltre, come presidio attivo nella tutela dei diritti di chi è privato della libertà.
La stessa visita nel carcere romano si inserisce in un percorso più ampio promosso dal Cnf con diverse iniziative e progetti. Da ultimo con la task force messa in piedi insieme agli Ordini locali con l’obiettivo di costruire una rete nazionale che possa affrontare in modo sistemico le criticità del carcere. Sempre in quest’ottica - ha ricordato Biancamaria D’Agostino, coordinatrice dell’Osservatorio nazionale permanente sull’esercizio della giurisdizione, che ha al suo interno un gruppo dedicato proprio al carcere - nel 2023 il Cnf aveva donato alla casa circondariale di Regina Coeli dieci pc messi a disposizione dei detenuti nella biblioteca del carcere. «Non ci si può soffermare soltanto sui problemi, pur noti – ha sottolineato la consigliera Cnf -. Abbiamo anche il compito di conoscere e diffondere i modelli virtuosi, a partire dalle carceri che offrono reali e concrete opportunità di reinserimento: facciamo in modo che non siano l’eccezione, ma la regola».