Il percorso della nuova legge sull’equo compenso per i professionisti, fortemente voluta dal centrodestra, si avvia a una conclusione positiva. Prima il via libera lunedì scorso della commissione Giustizia di Palazzo Madama, poi l’approvazione martedì, all’unanimità e per alzata di mano (modalità a dir poco rara per le votazioni parlamentari), nell’aula del Senato.

Il traguardo importante che il Parlamento si appresta a tagliare ha suscitato un commento abrasivo del senatore Carlo Cottarelli (Pd). L’economista, in un tweet, non ha dissimulato la propria contrarietà rispetto alle scelte fatte dai colleghi di Palazzo Madama, facendo un paragone improprio e azzardato tra i liberi professionisti, a partire dagli avvocati, e chi lavora in fabbrica o nei campi. «Il Senato – ha scritto Cottarelli – ha votato l’equo compenso dei professionisti (abolito dieci anni fa) col voto di tutti i gruppi parlamentari (non il mio). In Italia non c’è il salario minimo o equo compenso per braccianti e metalmeccanici, ma il compenso equo per gli avvocati sì». Il tweet del senatore Pd si chiude con una ironia fuori luogo: «Lunga vita alle lobby».

Nel giro di poco tempo le parole di Cottarelli hanno scatenato diversi commenti di cittadini comuni, ma, soprattutto, da parte degli addetti ai lavori. Il presidente dell’Associazione giovani avvocati (Aiga), Francesco Perchinunno, è prontamente intervenuto, definendo l’affermazione di Cottarelli «una grandissima fesseria». Poi ha argomentato in quattro punti la critica nei confronti dell’ex direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale. «Come avrà sicuramente letto – ha evidenziato l’avvocato Perchinunno riferendosi a Cottarelli –, la legge che non ha votato riguarda tutte le professioni e non solo gli avvocati. Tantissimi professionisti guadagnano meno di braccianti e metalmeccanici (si guardi l’ultimo rapporto Censis)». Il rappresentante delle giovani toghe ha chiarito l’ambito in cui si applicherà la nuova legge sulla giusta remunerazione per i servizi svolti dai liberi professionisti. Di qui la stoccata a Cottarelli. «L’equo compenso – ha aggiunto – si applicherà solo nei confronti di Pa, banche, assicurazioni e grandi aziende, che sono i veri poteri forti e le vere lobby, che, con questo suo post molto discutibile, intende tutelare e difendere. Ai consumatori e alle piccole aziende questa legge non si applicherà».

A proposito del rapporto Censis, in collaborazione con Cassa Forense, richiamato dal presidente dell’Aiga, è bene ricordare come se la passano i legali. All’ultimo sondaggio, pubblicato meno di un anno fa, all’aprile del 2022, hanno partecipato oltre 30mila avvocati. Il Censis evidenzia prima di tutto il divario di genere. «La distanza fra il reddito medio di una donna avvocato e quella di un collega uomo – spiega il rapporto - è tale che occorre sommare il reddito di due donne per sfiorare (e non raggiungere) il livello medio percepito da un collega maschio: 23.576 euro contro i quasi 51mila». Le cose si complicano mettendo a confronto le diverse generazioni di legali: «La distanza fra i redditi è ancora più evidente se si prende in considerazione l’età anagrafica degli avvocati. Chi ha meno di trent’anni supera di poco la soglia dei 13mila euro, mentre solo a partire dai cinquant’anni è possibile raggiungere un livello superiore al valore medio (35.905 euro nella classe d’età 45-49 anni, 45.943 euro nella classe d’età 50-54 anni)». Non si naviga, dunque, nel mare dell’opulenza. «Il 58,1% delle posizioni, pari a poco più di 140mila avvocati – aggiunge il Censis -, non raggiunge la soglia dei 20mila euro e in questa parte sono comprese 32mila posizioni con reddito pari a zero o addirittura negativo o, ancora, le posizioni con reddito non comunicato pervenuto (corrispondono al 13,2% sul totale). Il 27,0% si colloca all’interno della classe compresa fra i 20mila e i 50 mila euro, mentre in cima alla piramide (oltre i 50mila euro) si posiziona il 14,8% degli avvocati, poco meno di 36mila posizioni, di cui il 6,5% con redditi superiori ai 100mila euro».

Il coordinatore dell’Organismo congressuale forense, Mario Scialla, e il referente del gruppo di lavoro sull’equo compenso, Pierfrancesco Foschi, esprimono «la soddisfazione dell’avvocatura per l’approvazione all’unanimità» in Senato del ddl, «con la sola necessaria unica modifica del richiamo al nuovo procedimento semplificato introdotto dalla riforma Cartabia, in luogo dell’abrogato procedimento sommario per il recupero dei crediti professionali». Scialla e Foschi intervengono pure nella discussione aperta da Carlo Cottarelli. «Contrariamente – dicono - a qualche isolata opinione contraria all’equo compenso, davvero poco tecnica e superficialmente buona per raccogliere like populisti sui social, al pari dei ciclici interventi che, col pretesto di maggiori tutele per tutte le professioni, vorrebbero rivedere o emendare il testo, così da non portarlo mai a compimento come una tela di Penelope, va ricordato che l’equo compenso riguarderà tutti i professionisti e non solo l’avvocatura, la quale vive da anni una situazione ben lontana dall’immagine che ancora le si vuole attribuire».

I due esponenti dell’Organismo congressuale forense criticano certe argomentazioni semplicistiche: «Tanto l’osservatorio presso il Cnf quanto il monitoraggio di Ocf hanno raccolto innumerevoli, più di 100 casi all’anno, esempi di bandi e convenzioni nazionali da parte di banche, assicurazioni e Pubbliche amministrazioni con clausole platealmente vessatorie e compensi ben sotto i parametri delle tabelle ministeriali e i minimi previsti. Ciò con gli effetti di proletarizzazione già recentemente registrati dall’allarmante indagine di Censis e Cassa previdenza avvocati, per cui il 32% degli avvocati è prossimo ad abbandonare la toga».

Secondo il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, e avvocato del Foro di Ferrara, Alberto Balboni (FdI), l’uscita del collega Cottarelli è stata “infelice”. «L’equo compenso – commenta - serve a garantire i professionisti dallo sfruttamento delle grandi multinazionali, dei colossi assicurativi e bancari, che impongono contratti molto sotto quello che viene considerato il salario minimo. Impongono a migliaia di professionisti di lavorare quasi gratis, ai limiti della sussistenza».