Si avvicina l’happy ending per l’accidentato percorso legislativo dell’AS 495, contenente la nuova disciplina sull’equo compenso per i professionisti. Lunedì scorso il via libera della commissione Giustizia di Palazzo Madama, non senza un dibattito acceso sull’opportunità di introdurre modifiche ulteriori a quella relativa all’articolo 7, necessaria per un errato rinvio normativo. Ieri l’approvazione nell’aula del Senato, all’unanimità e per alzata di mano (circostanza rara nel nostro Parlamento). Un passaggio che «ci porta finalmente a un passo dalla meta: il riconoscimento della piena dignità economica alle prestazioni professionali», commenta Francesco Paolo Sisto. Il viceministro della Giustizia, che ha seguito fin dall’inizio l’iter del provvedimento per il governo, si augura di «giungere quanto prima all’approvazione definitiva alla Camera, affinché la politica si dimostri in grado di assicurare a un comparto importantissimo una risposta attesa da troppo tempo». Ecco: sulla valenza da assegnare all’inevitabile terza lettura a Montecitorio ci sono idee diverse. Anche nell’avvocatura, professione che è stata il vero motore della disciplina sull’equo compenso fin dalla prima legge varata nel 2017: se Cnf e Ocf hanno sempre auspicato un approdo il più rapido possibile in Gazzetta ufficiale, con riserva di affinare le norme in altri “vettori” normativi, il Coa di Roma, in previsione del passaggio alla Camera, cita i limiti di applicabilità delle nuove norme, destinate – oltre che a banche, assicurazioni e Pa – alle imprese con più di 50 dipendenti o fatturato superiore ai 10 milioni». Limite che, dichiara il presidente dell’Ordine capitolino, Paolo Nesta, è «piuttosto alto», e che bisognerebbe «ridurre ulteriormente: il compenso, se deve essere equo, deve esserlo anche se un’impresa ha 10 dipendenti».
Va detto che la maggioranza di governo pare chiaramente schierata sulla linea indicata da Sisto: arrivare presto a un via libera senza modifica da parte di Montecitorio, anche per evitare che, nelle more di un iter più articolato, possano insinuarsi quelle controparti non proprio favorevoli alle nuove tutele per i professionisti. La leghista Erika Stefani, relatrice del provvedimento, definisce l’equo compenso «una grande conquista: sancisce un principio fondamentale per garantire la dignità dei professionisti, a volte contraenti deboli nei confronti di imprese dalla grande forza contrattuale». Dal Carroccio interviene anche Jacopo Morrone, coautore del testo che ha la premier Giorgia Meloni quale prima firmataria: esprime «soddisfazione» per essere arrivati a tutelare «un diritto» dei professionisti, «soprattutto giovani». Ma è più di tutti Marta Schifone, deputata di Fratelli d’Italia e responsabile Professioni del partito, a confermare la determinazione nell’escludere sorprese dell’ultimo miglio: il testo, dice, deve tornare alla Camera solo per un «aggiustamento formale», ma «possiamo dire che, grazie al pragmatismo della maggioranza, è passata una norma che il sistema professionale italiano aspettava da anni: mai più trattative al ribasso». Stesso grado di soddisfazione da parte del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, il quale non esclude «miglioramenti futuri» alla nuova disciplina: «Restano dei problemi che contiamo di definire quanto prima: penso alla retroattività, su cui dovremo lavorare in futuro, e alla sanzione disciplinare per il professionista che accetti clausole vessatorie, ipotesi che va interpretata non come una spada di Damocle, ma come una tutela rafforzata contro i contratti capestro».
Il rammarico per non aver provveduto subito alle modifiche è invece il filo conduttore ne nei commenti dell’opposizione. Discorso che vale senz’altro per Anna Rossomando, vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia del Pd: «Abbiamo votato favorevolmente il testo sull’equo compenso perché si tratta di un provvedimento atteso da tempo dai professionisti, a partire da quanto fatto dal ministro Orlando nel 2017. Segnaliamo però una inspiegabile chiusura della maggioranza, nonostante l’approvazione di ordini del giorno che vanno nella stessa identica direzione, ad alcuni emendamenti che noi avevamo proposto». Considerazioni simili sono espresse dalla senatrice Ada Lopreiato, capogruppo M5S in commissione Giustizia, che rivendica la paternità della correzione necessaria all’articolo 7 e aggiunge che il ddl sull’equo compenso «è un provvedimento importante per le categorie di lavoratori a cui si rivolge e un indubbio passo in avanti per tanti professionisti sottopagati. Si poteva far meglio? Certamente sì, ma la maggioranza con miopia ha negato ogni possibilità di emendare il testo». Punti di vista diversi. Che non sembrano però mettere a rischio il finale della partita.