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“Parole della giustizia” con una attenzione particolare rivolta alle vittime. È stato questo il tema affrontato ieri durante un convegno tenutosi presso la Sala del Refettorio della Camera dei deputati e organizzato dall’associazione “Fare” (“Femminista, ambientalista, radicale, europeista”). L’iniziativa è stata aperta dall’indirizzo di saluto del presidente della Camera, Lorenzo Fontana. «Questo – ha detto Fontana – è il terzo appuntamento sulla giustizia riparativa, un istituto che riguarda sia chi ha causato il dolore sia chi lo ha subito. La giustizia riparativa pone al centro le vicende umane di questi soggetti, lontano dalle aule dei tribunali, con uno spazio di dialogo e d’ascolto. È un modello parallelo e non alternativo alla giustizia ordinaria».
Michela Di Biase, deputata del Pd, ha sottolineato il valore dell’iniziativa di ieri: «L’associazione Fare sta organizzando una serie di dialoghi sulle parole della giustizia. Ricordo l’emozionante colloquio tra Agnese Moro e Adriana Faranda sulla parola “incontro”. Siamo certi che sia necessario impegnarci a trovare un altro possibile vocabolario delle parole della giustizia, passando, come dice il professor Ceretti, da una giustizia verticale a una giustizia orizzontale. Manlio Milani, presidente dell’Associazione dei familiari dei caduti nella strage di Piazza della Loggia e presidente della “Casa della memoria” di Brescia, nella sua lunga e generosa attività di testimone ha restituito la parola “vittima” al campo della responsabilità civile e politica».
La giustizia riparativa ruota attorno alle persone. «La vittima – ha commentato l’onorevole Di Biase – è un soggetto storico. Non un semplice “oggetto del male”, ma una coscienza che si interroga, che testimonia, che agisce. È qualcuno che, pur colpito dalla violenza, sceglie di non restarne prigioniero. Che cerca nel racconto del proprio trauma una strada non per il risarcimento privato, ma per la costruzione di una memoria pubblica. Una memoria che non divide, ma che unisce. Che non serve a contrapporre, ma a comprendere».
Le vicende umane della vittima e dell’autore del reato dovrebbero trovare un punto di incontro. E in merito ad alcune pagine tristi della storia del nostro Paese, è utile un’operazione trasparenza. «Siamo tutti messi in guardia dalla privatizzazione del dolore – ha aggiunto Michela Di Biase –. Quando la sofferenza viene trasformata in identità esclusiva, la vittima rischia di cadere in una logica di rivalsa e rancore, diventando ostaggio del fatto che ha subito. Il suo racconto è anche un atto politico: impone alle istituzioni una responsabilità, quella di dare spazio, di ascoltare, di riconoscere. Non basta essere “con le vittime” in modo astratto, cerimoniale. Occorre mettere in discussione i meccanismi che hanno prodotto l’ingiustizia. Occorre vigilare sulla coerenza democratica, aprire gli archivi, rifiutare ogni forma di delega passiva alla magistratura o alla storia ufficiale. La giustizia riparativa non può essere un gesto privato, sentimentale. Deve avere una dimensione pubblica, costituzionale. Deve servire a ricucire la frattura tra dolore e riconoscimento, memoria e responsabilità. Perché solo così la Repubblica può ritrovare il proprio fondamento etico, il proprio patto originario».
Il professor Adolfo Ceretti, coordinatore del gruppo di ricerca che ha redatto la disciplina organica della giustizia riparativa, si è soffermato sulla vicenda vissuta in prima persona da Manlio Milani (la moglie Livia è morta a Brescia, a Piazza della Loggia il 28 maggio 1974). «Nel dipanarsi dei nostri incontri – ha ricordato Ceretti – con vittime e responsabili della lotta armata e del terrorismo, avvenuti tra il 2009 e il 2014 e confluiti nel “Libro dell’incontro”, del quale Milani è stato uno dei pilastri centrali, insieme ad Agnese Moro, ci siamo chiesti, tutti quanti come fosse possibile uscire dalla eterogeneità di linguaggi, di valori, di memorie incommensurabili che riguardavano i protagonisti di quelle vicende storiche.
Una strada molto preziosa è stata quella indicata dal filosofo francese Olivier Abel, che suggerisce, in casi paradigmatici, di impegnarsi a esercitare la “virtù del compromesso”, compromesso che egli non intende come la mera giustapposizione di due punti di vista» Particolarmente toccante la testimonianza di Manlio Milani. La sua testimonianza diretta sulla strage di Piazza della Loggia ha commosso il pubblico. Milani ha inoltre ripercorso alcune tappe del processo ai responsabili dei fatti avvenuti cinquantuno anni fa. «Abbiamo fatto i conti – ha ricordato Milani - con persone che hanno voluto occultare pagine della nostra storia». “Che cosa è una strage?”, si è chiesto poi Milani. «È l’esempio massimo – ha aggiunto – della disumanizzazione. Le persone coinvolte nella ideazione e nella realizzazione delle stragi vengono usate per trasmettere messaggi di paura e di attacco al sistema democratico. Dopo la strage di Piazza della Loggia ho a lungo riflettuto. Da qui ho intrapreso un percorso molto preciso: valorizzare l’esperienza storica attraverso l'esperienza privata».