Il Consiglio Nazionale Forense ha aderito con particolare entusiasmo alla proposta della Commissione integrata per le pari opportunità del Cnf che, con la collaborazione del Dubbio, ha promosso la campagna “Voci delle donne in guerra” in occasione delle celebrazioni dell’8 marzo. Un’iniziativa nata per focalizzare l’attenzione sulle donne colpite da gravi violazioni dei diritti umani, come nel caso dell’Afghanistan, e delle donne che in questo momento vivono in prima persona il conflitto che coinvolge la popolazione ucraina. Proprio per offrire un supporto concreto ai civili in fuga dalla guerra, il Cnf ha deciso di costituire dei “contact point” presso gli Ordini forensi locali, con lo scopo di garantire assistenza legale ai rifugiati.  
  L’iniziativa nasce in seno al CCBE, il Consiglio degli Ordini Forensi Europei di cui fa parte anche il Cnf. Che ha ritenuto di dover esprimere la sua vicinanza e solidarietà non soltanto attraverso la delibera adottata in seduta straordinaria giovedì scorso, con un richiamo al diritto internazionale e alle fonti normative europee che devono essere di sostegno e ausilio, ma anche offrendo un aiuto concreto. L’idea infatti è di individuare dei “punti di riferimento” per chi arriva in Italia in cerca di riparo, grazie alla disponibilità di moltissimi colleghi e colleghe. Certo non ci stupisce che la risposta dell’avvocatura, che si è manifestata ancora una volta particolarmente partecipativa, sia così ampia. E bisogna sottolineare che il nostro sostegno non riguarda soltanto chi arriva nel nostro paese, ma anche chi già vive qui: la grande comunità di ucraini in Italia, di cui la gran parte è donna, che vive la guerra in maniera diversa, ma altrettanto dolorosa. Donne che hanno lasciato in Ucraina i propri affetti, e ora non sanno come aiutare o fare ricorso al ricongiungimento familiare. Ma l’8 marzo è più in generale l’occasione per fare una valutazione sullo stato dell’arte. Sulle condizioni in cui vivono le donne nei paesi teatro di conflitti. Un bilancio che è bene fare partendo da un principio di “relatività”. Ultimamente, si è parlato spesso di diritti compressi o di limitazioni, senza avere il reale senso reale di queste parole. È perciò necessario guardare oltre, ascoltare le testimonianze di queste donne a cui è negata ogni cosa. Alle donne afgane, e alle donne ucraine attualmente coinvolte nella guerra: a loro riconosciamo una doppia forza. La forza di chi è rimasto nel proprio paese e contribuisce in maniera attiva alla resistenza. E di chi pratica un’altra forma di resistenza, da qui, dal punto di vista dell’accudimento nella sua accezione più ampia e del reperimento di sostegno economico. Per una volta sottolineiamo la forza delle donne, e non la loro fragilità. Raccontare questa forza e questo coraggio ci è sembrato giusto e doveroso, come atto di rispetto e di omaggio.