Il Csm riconferma Pietro Curzio e Margherita Cassano nei ruoli di primo presidente e presidente aggiunto della Cassazione. Una decisione presa al fotofinish in vista dell’inaugurazione dell’anno giudiziario prevista per domani e “benedetta” da Sergio Mattarella, che oggi ha presieduto il plenum anche per ribadire la sua volontà di non proseguire la sua esperienza al Quirinale. «Desidero ringraziare il Consiglio superiore per la tempestività con cui la Commissione ha formulato le due proposte e il plenum ha assunto le deliberazioni relative - ha sottolineato -, in questo modo assicurando la piena operatività nell'esercizio di due funzioni di rilievo fondamentale dell'ordine giudiziario. Questa occasione imprevista mi offre la possibilità di ripetere al Consiglio e ciascuno dei suoi componenti gli auguri più intensi per l'attività che il Consiglio svolgerà nei prossimi mesi con la presidenza di un nuovo Capo dello Stato». Curzio e Cassano sono stati riconfermati con votazioni identiche, con 19 favorevoli, tre astenuti e tre contrari, ovvero i togati Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo e il laico della Lega Stefano Cavanna. Ma la discussione - contenuta in circa un’ora - è stata anche un’occasione per prendere le distanze da quanti, nei giorni scorsi, hanno letto la decisione del Csm come la volontà di sfidare il Consiglio di Stato. «A fronte di una narrazione in termini di conflitto tra organi di vertice dell'architettura dello Stato va ribadito che si tratta di una vicenda che rientra in una fisiologica dinamica istituzionale - ha sottolineato la togata di Area Alessandra Dal Moro -. Nessuno pensa di sottrarre il Consiglio alla verifica della rispondenza alla legalità delle sue determinazioni». Ma data l'importanza dell’ufficio da ricoprire, era «inevitabile» una scelta «largamente discrezionale». Anche perché, «a differenza di quanto superficialmente rappresentato nel dibattito pubblico», il Consiglio di Stato non ha detto «che il Csm ha sbagliato nella scelta». Niente «schiaffi», dunque, tra poteri dello Stato, né fretta o superficialità, nonostante per il riesame delle motivazioni siano bastate solo poco più di 70 ore. Concetto ribadito dal laico grillino Filippo Donati, secondo cui tale decisione «non può e non deve essere interpretata come espressione di una volontà di scontro» con il Consiglio di Stato. Il quale «non ci ha spogliati del potere, ce lo ha restituito», nello spirito «di una leale e franca collaborazione». La scelta di Curzio e Cassano, ha sottolineato, è certamente frutto di nuovi argomenti che «confermano, rafforzandola, la scelta fatta un anno e mezzo fa». Ma c’era anche la necessità di «assicurare la partecipazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario alla presenza del capo dello Stato» dei due vertici dell’ordine giudiziario. Nessun «atto di ostilità», ha aggiunto dunque il laico del M5S Alberto Maria Benedetti, secondo cui, nel fare le nomine, bisogna evitare «meccanismi aritmetici» nella consapevolezza che «il maggior merito si costruisce nelle cose fatte»; e nessun conflitto, ha ribadito la togata di Magistratura Indipendente Loredana Micciché. Ciò nonostante sia stato lo stesso Csm, il 15 luglio scorso, a porre la questione in tali termini, evidenziando la necessità di chiarire i limiti del giudice amministrativo e paventando il rischio di una invasione di campo. La discussione, all’epoca, verteva sulla scelta di costituirsi in giudizio a sostegno del ricorso presentato da Michele Prestipino davanti alle Sezioni Unite civili della Cassazione. Secondo l’allora relatore Michele Ciambellini (Unicost), la sentenza con la quale Palazzo Spada annullava la nomina dell’ex procuratore di Roma aveva l’aria di «un indirizzo dato alla Commissione». Da qui il forte «profilo di criticità» e la necessità di costituirsi davanti alle Sezioni Unite - che poi diedero torto a Palazzo dei Marescialli - per «delimitare i confini di attribuzione». Questione sulla quale si era espresso anche il togato di Autonomia e Indipendenza Giuseppe Marra, secondo cui «il Csm, in questi anni, ha visto un'aggressione spaventosa da parte del giudice amministrativo». L’annunciato dibattito, dunque, non c’è stato, forse proprio per non creare ragioni di imbarazzo davanti a Mattarella. E a sottolineare le criticità sono stati i soli Ardita e Cavanna, spiegando le ragioni del loro voto contrario. Nulla a che fare con la professionalità e la persona dei due candidati, ha spiegato Ardita, ma con metodo e merito. «Mancano, a mio avviso, gli argomenti richiesti nella sentenza di annullamento per colmare contraddizioni e lacune - ha evidenziato -. È mancata una riflessione approfondita e completa. La scelta di voto deriva dalla preoccupazione di adempiere nel modo più puntuale ai compiti che ci vengono affidati e sempre con le forme e nei tempi imposti dalla delicatezza degli stessi, evitando quindi, nel metodo prima ancora che nel merito, di dare anche solo l’impressione di voler eludere le decisioni del giudice amministrativo». Ardita ha quindi ribadito la necessità di rispettare le decisioni del Consiglio di Stato, così come aveva fatto nel momento in cui la discussione riguardava Prestipino, quando aveva evidenziato la necessità di autolimitare la discrezionalità proprio per recuperare credibilità, a seguito dei gravi fatti che hanno sconvolto l’ordine giudiziario. «Su tale rispetto, che siamo soliti pretendere per le nostre decisioni - ha concluso -, si fondano i principi della nostra Costituzione e il senso stesso dell’esperienza giuridica». Anche perché, secondo il laico della Lega Stefano Cavanna, «le nuove motivazioni si limitano a riproporre in forma diversa le stesse argomentazioni di quelle originarie». E se è vero che il Csm ha degli ambiti di discrezionalità, «è necessario che i suoi atti siano sottoposti al controllo di un altro organo giurisdizionale per impedire motivazioni incomprensibili, esoteriche e quindi espressione di arbitrio».