La Cassazione chiude l’era di Michele Prestipino alla guida della procura di Roma, dichiarando inammissibili i ricorsi contro le sentenze del Consiglio di Stato che avevano bocciato la sua nomina e dando ragione al procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e al pg di Firenze Marcello Viola. La decisione è arrivata ieri, a pochi giorni dalla riunione del plenum del Csm che deciderà il futuro di Piazzale Clodio, prevista prima di Natale. E risponde anche alla domanda sollevata dallo stesso Consiglio superiore della magistratura, che aveva deciso di costituirsi a fianco di Prestipino per sondare i limiti di intervento della giustizia amministrativa sul potere discrezionale di Palazzo dei Marescialli. Nel suo ricorso, Prestipino aveva infatti lamentato un’invasione di campo da parte di Palazzo Spada, che avrebbe sottratto al plenum il potere decisorio. Argomento respinto dai giudici del Palazzaccio, secondo cui il Consiglio di Stato si sarebbe limitato a ricostruire l’iter di nomina alla luce delle norme che regolano il conferimento degli incarichi direttivi e del regolamento interno allo stesso Csm, stando ai quali la scelta di Prestipino è da considerare «irrazionale». A rendere la sua nomina illegittima ci sarebbero due fattori: l’annullamento immotivato della proposta che aveva incoronato Viola come successore di Giuseppe Pignatone e l’errata comparazione dei titoli degli altri due candidati, superiori a quelli di Prestipino. «Il Consiglio di Stato ha ritenuto che delle ragioni della revoca non vi fosse alcuna esternazione - si legge nella sentenza -, giacché, ha sottolineato, la giustificazione non si può ritenere implicita nell’intervenuta sostituzione di alcuni dei commissari o nel mutamento in sé della preferenza». La situazione nella quale era inizialmente maturato il voto a favore del pg di Firenze e poi la revoca, infatti, era rimasta «invariata dall’inizio alla fine». L’annullamento, dunque, avrebbe richiesto delle motivazioni che però sono mancate. Il passo indietro sul pg di Firenze (rappresentato dagli avvocati Giuseppe Impiduglia e Girolamo Rubino) era infatti arrivato dopo la cena all’Hotel Champagne del 9 maggio 2019, quando l’ex capo di Anm Luca Palamara, insieme a cinque ex togati del Consiglio e ai deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri, discussero proprio della nomina del capo dei pm romani, facendo il nome di Viola, ignaro però delle manovre in corso per gestire la decisione. La pubblicazione di quelle intercettazioni portò alle dimissioni dei consiglieri coinvolti e all’azzeramento del lavoro fatto, con l’avvio di una nuova istruttoria che portò alla scelta di Prestipino, all’epoca numero due di Pignatone. La decisione, dopo le sentenze della giustizia amministrativa, è dunque tornata in V Commissione, dove un mese fa sono stati espressi quattro voti per Lo Voi e uno per Viola. La pratica, in attesa delle relazioni di Alessio Lanzi e Sebastiano Ardita, è rimasta ferma anche in attesa della pronuncia della Cassazione. Che ha così messo la parola fine alla vicenda, annullando definitivamente quella nomina. Secondo la Cassazione, è da escludere che Palazzo Spada «abbia esorbitato dai limiti posti al proprio giudizio», limitandosi a rimarcare «la manifesta irrazionalità e, quindi, la palese illegittimità dei criteri di scelta adottati dal Csm in base al mero tenore testuale dell’articolo 18 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, e lo ha fatto nell’esercizio del proprio potere-dovere di valutazione». Prestipino si era infatti richiamato a tale circolare, evidenziando l’equiparazione degli uffici direttivi e semidirettivi, che avrebbe pertanto azzerato la differenza tra i curriculum dei candidati. Ma tale circolare, spiega la Cassazione, «non è atto normativo»: i criteri di scelta sono invece restituiti dalla Costituzione e dal decreto legislativo del 5 aprile 2006, «che detta i criteri per la valutazione finale, complessiva e unitaria, alla luce dei parametri del “merito” e della “attitudine direttiva” secondo la tipologia d’incarico». Le norme, dunque, evidenziano «l’irrazionalità» del significato assegnato dal Csm alla propria circolare, laddove equipara funzioni direttive e semidirettive. «L’equiordinazione in sé delle funzioni è difatti esclusa dal sistema - continua la sentenza -, il che manifesta la palese irrazionalità della motivazione adottata a fondamento della scelta del dottor Prestipino e la legittimità della valutazione del Consiglio di Stato, il quale ha appunto sottolineato che non sono state esternate e non risultano comunque comprensibili le ragioni per le quali si possa attribuire alle funzioni concretamente svolte dal quel procuratore aggiunto una valenza superiore a quelle espletate dapprima quale procuratore della Repubblica e poi come procuratore preposto all’Ufficio di procura generale, in considerazione dell’oggettiva maggiore ampiezza, rilevanza e responsabilità di queste rispetto alle prime».