Da oggi in poi la recidiva non sarà più un ostacolo per concedere la detenzione domiciliare agli ultrasettantenni reclusi in carcere. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 01 dell’ordinamento penitenziario, limitatamente alle parole «né sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale». Ricordiamo che l’articolo 47 ter dell'ordinamento penitenziario prevede che la pena detentiva inflitta a una persona che abbia compiuto i settanta anni di età «può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza». Sono molti gli anziani in carcere Questa ipotesi di detenzione domiciliare ha una finalità umanitaria dettata dalla circostanza che il superamento di una certa soglia di età comporta delle difficoltà maggiori per chi si trova in carcere. Non sono pochi, però, gli anziani reclusi in carcere nonostante la norma. Ma questo anche perché la recidiva ne è un ostacolo. Una preclusione assoluta che non permette ai magistrati di sorveglianza di valutare la concessione o meno della detenzione domiciliare. Finalmente il caso è arrivato alla Corte Costituzionale. Con la sentenza n. 56 che ha come redattore il giudice Francesco Viganò, la Corte ha stabilito che è incostituzionale il divieto assoluto di accedere alla detenzione domiciliare stabilito per gli ultrasettantenni condannati in carcere con l’aggravante della recidiva. Per i giudici bisogna ispirarsi al principio di umanità della pena, sancito dall’articolo 27 della Costituzione Quindi, da ora in poi, gli anziani condannati a una pena detentiva potranno essere ammessi alla detenzione domiciliare anche se dichiarati recidivi. La Corte ha osservato che la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni è ispirata al principio di umanità della pena, sancito dall’articolo 27 della Costituzione. La preclusione assoluta stabilita dalla norma è stata ritenuta irragionevole, anche in rapporto ai principi di rieducazione e umanità della pena, in conformità alla costante giurisprudenza che considera contrarie agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione le preclusioni assolute all’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione. La decisione della Corte Costituzionale è una grande conquista di civiltà, anche perché – come già detto - non pochi sono gli ultrasettantenni in carcere nonostante non siano socialmente pericolosi. La recidiva è uno degli ostacoli che non ha permesso l’applicazione della detenzione domiciliare. Il caso esaminato dalla Consulta è degno di nota. Utile per capire quanto sia irragionevole (e ora incostituzionale) tale preclusione. Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla magistratura di sorveglianza di Milano A sollevare le questioni di legittimità costituzionale è la magistratura di sorveglianza di Milano con l’ordinanza del 20 marzo 2020. Il rimettente è stato chiamato a giudicare su un’istanza presentata personalmente da un condannato, che aveva chiesto di essere ammesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare presso l’abitazione della moglie. Al momento della presentazione dell’istanza, il condannato aveva settantotto anni ed era detenuto in esecuzione di una pena complessiva di quattordici anni e sette mesi di reclusione – di cui tredici anni e otto mesi ancora da espiare – per una serie di reati fallimentari e tributari accertati in diverse sentenze di condanna, alcune delle quali avevano applicato la circostanza aggravante della recidiva, preclusiva della concedibilità della misura alternativa in forza della disposizione censurata; ciò che comporterebbe il necessario rigetto dell’istanza. Tra le ragioni che hanno portato la Consulta a dichiararne l’incostituzionalità, spiccano in particolare «i cambiamenti avvenuti nella persona del reo, e l’eventuale percorso rieducativo in ipotesi già intrapreso» dal condannato dopo la sentenza, ivi compreso il tempo già trascorso in carcere, nonché la maggiore sofferenza determinata dalla detenzione su una persona di età avanzata.