Le difficoltà crescenti dell’Europa a riconoscersi in un ruolo comune probabilmente dipendono anche da conti sempre rinviati. Uno è indubbiamente il valore della Nato in un mondo multipolare, immerso nelle varie fasi della globalizzazione, incalzato dalla nuova “dottrina” Trump che non esita ad usare l’arma delle guerre commerciali in nome di First America.

L’altro è molto più antico, rivoluzionato dopo la caduta del muro di Berlino: il rapporto con la Russia.

Finora questa importante questione è stata affrontata fra mille titubanze, convenienze geopolitiche come dimostra l’atteggiamento della Germania, genuflessioni opportunistiche. Inutile dire che una certa aggressività della Russia di Putin potrebbe trovare origine proprio dal fatto che questa volta potrebbe essere l’Europa il vero enigma. Un mondo multipolare è per sua definizione un mondo in continuo movimento. La Russia sarà pure una potenza calante ma sta in questo gioco nel quale è entrata prepotentemente anche la Cina e via via giocano ruoli più o meno indecifrabili altri Stati di ogni dimensione, dall’India all’Iran, alla Turchia all’Egitto ed altri ancora.

L’Europa ha perso invece, paralizzata come è al suo interno dalla incapacità a ritrovare un suo percorso comune ed una strategia efficace sul terreno della sicurezza che la faccia rispettare, gran parte della sua autorevolezza per confrontarsi alla pari con i mutamenti in atto. E rischia di diventare preda di interessi e di calcoli da parte in particolare di quegli Stati che debbono giocoforza misurarsi con gli Stati Uniti.

Eppure, ad esempio nella tradizione italiana, ci sono stati periodi nei quali politici di valore come Pietro Nenni avevano compreso il valore della multipolarità tanto da battersi per far entrare la Cina di Mao nell’Onu. E realtà economiche rilevanti come l’Iri e la Fiat erano riuscite a stabilire rapporti e dialogo costruttivi con la Russia. Per non parlare del nostro ruolo nel Mediterraneo. Questo saper uscire da ambiti domestici, provinciali, è stata una delle migliori qualità dell’Italia di ieri, che ci ha portato ad essere considerati sul piano internazionale. Oggi noi ci siamo seduti sulla pseudocultura delle tifoserie, l’Europa dal canto suo appare condannata ad un impotente letargo. Eppure l’evoluzione del mondo continua ad andare avanti: la Russia ce la troveremo comunque di fronte e probabilmente incardinata in un asse di interessi che, con la “via della seta”, partono da Shanghai. Anche se legami forti resteranno ancora per decenni, il vecchio Continente dovrà sbrigarsela sempre più da solo se vuole restare una entità unita e indipendente. Ed allora perché non andare oltre questa fase di ostilità reciproche che anche in questi giorni spingono la Merkel ad accusare Putin? La Russia si è pur sempre sentita parte di quella Europa cristiana che si soleva dire andasse da Lisbona a Vladivostok. La stessa Chiesa di Roma non ha cessato di mantenere rapporti con essa, proprio in una visione di cultura cristiana da preservare e ravvivare per quel che è possibile. Certo, negli ultimi tempi lo sguardo si è rivolto più verso la Cina, la potenza emergente.

Ma non va dimenticato che Cina e India sono i veri baluardi per la Chiesa di Roma che possono contenere l’avanzata dell’Islam, in particolare dell’estremismo islamico. Eppure l’Europa qualcosa deve fare: non può subire la Russia, trovarsi ovunque annidati gli interessi cinesi, e non reagire in modo tale da dimostrare che non sta ritornando ad essere solo un’area geografica. Si potrà obiettare che ci si trova di fronte ad un regime oligarchico come quello di Putin. Vero, ma oggi appare velleitario ragionare solo con chi è democratico quanto te o è disponibile ad esserlo come te. Se questo fosse l’unico criterio probabilmente avremmo venti di guerra alle porte. La difesa delle libertà resta un obiettivo ineliminabile ma non può dimenticare un inevitabile realismo politico. Anche perché noi abbiamo già il nostro bel da fare in casa nostra, in Italia ed in Europa a puntellare e rinnovare le regole delle nostre democrazie, insidiate da nazionalismi ed autoritarismi. Anche sul terreno della pace un protagonismo europeo sarebbe molto importante per l’intrecciarsi di alleanze e convenienze in tutto lo scacchiere mondiale con i rischi di sempre maggiori tensioni e tentazioni di ricorso alla forza delle armi. In realtà l’Europa deve ricominciare da se stessa: specie in questi drammatici momenti ritrovare vera coesione, una comune politica economica, la forza di riproporre un cammino da Stati Uniti d’Europa, unire stabilmente le proprie capacità di difesa, agire per ridurre insieme i gap tecnologici. Ma senza trascurare il tema di confronti costruttivi con quanto vi è intorno ad essa. Senza dimenticare il legame atlantico, ma provando a testare la disponibilità della Russia a prove di cooperazione. Cesserebbero in tal modo anche le astuzie dei vari populismi che la Russia di Putin blandisce per avere un’Europa divisa non più come un tempo ma pur sempre balcanizzata in interessi diversi. Uno schema di tal fatta non fa bene alla stabilità mondiale, non aiuta l’Europa a rialzarsi, non può esser una buona notizia neppure per l’Italia che ha bisogno invece di ritrovare la sua vocazione di Paese che sa lavorare e bene per la pace, per una migliore comprensione fra Stati, per una identità culturale che è partita proprio da essa tanti secoli fa.