DECINE DI MORTI A BAGHDAD. AL SADR ACCUSA IL GOVERNO FILOIRANIANO

«L’Iraq nato dalle macerie dell’invasione americana del 2003 è ormai un malato allo stato terminale» aveva scritto lo scorso 16 agosto il ministro delle finanze Alì Allawi nella lettera in cui rassegnava le sue dimissioni. Un’analisi amara e puntuale quella dell’ex funzionario della Banca mondiale che ha denunciato il sistema politico iracheno «ostaggio dei partiti e di gruppi di interesse particolari, pieno di persone incompetenti nei posti chiave». E in cui la crisi politica e quella sociale ( disoccupazione e inflazione alle stelle) si intrecciano senza soluzione di continuità, creando la miscela esplosiva che ha detonato proprio in questi giorni con l’assalto al Parlamento e alla Green zone di Baghdad da parte delle milizie sciite di Moqtada al Sadr in cui hanno perso la vita decine di manifestanti, fermati a colpi di mitra dalle forze di sicurezza governative. Al Sadr peraltro è il vincitore delle ultime elezioni ma al potere c’è una coalizione che lo ha tenuto fuori. I suoi deputati a fine luglio hanno abbandonato l’Assemblea: accusano il governo di corruzione e inettitudine e soprattutto di servire gli interessi dei “padrini” iraniani che di fatto controllano l’esecutivo tramite le formazioni sciite filo- Teheran. In particolare attraverso l’ex premier Nour Al Maliki, vicinissimo al regime degli ayatollah e grande rivale di al Sadr che lo definisce «un cleptocrate» funzionale alle ambizioni imperialiste dell’Iran.

La crisi è cominciata subito dopo le elezioni dello scorso ottobre, dieci mesi in cui il paese mediorientale è piombato nel caos e ora sembra entrata nella sua fase più virulenta; curiosamente poche ore prima dell’assalto al Parlamento al Sadr aveva annunciato il suo ritiro dalla vita politica invitando i suoi seguaci a proseguire «la rivoluzione». Toni da primavere arabe, e forse all’ombra di un bluff: non è infatti la prima volta che il leader nazionalista proclama la sua uscita di scena per poi riapparire subito dopo. Già ieri sera richiamava infatti alla calma le milizie, passando di fatto la palla al governo. Ma il sangue per le strade di Baghdad e di Bassora fa temere un’ escalation settaria se non addirittura lo scoppio di una guerra civile tanto appare fragile l’architettura politica che tiene in piedi il sistema iracheno. Il premier Mustafa Al- Kadhimi che gestisce gli affari correnti, si è scusato con i manifestanti dicendo che la polizia non doveva sparare e promette un’inchiesta ufficiale, Troppo poco per smorzare le proteste.

L’unica soluzione possibile è la convocazione di nuove elezioni e l’apertura di un negoziato per stabilire al più presto una data. I “sadristi” in teoria sarebbero d’accordo a riaprire il dialogo e a sedersi attorno a un tavolo con i rivali. Non sarà facile, anche perché non si sa ancora in che modo reagirà l’Iran, per nulla intenzionato a rinunciare al suo cortile di casa.