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Archiviata bruscamente la candidatura (mai davvero decollata) di Marco Minniti, i renziani sono nella tempesta. «Nessuna scissione», ha ribadito Matteo Renzi: si riapre allora la disperata caccia al nome. E il parlamentare dem, Stefano Ceccanti, di fronte alla necessità, ritorna allo schema iniziale: «Se fosse disponibile, il candidato ideale della sinistra liberale è sempre lui: Renzi medesimo».
Renzi ha ribadito che non ha mai pensato di uscire dal Pd e di fare un nuovo partito. E’ sollevato, oppure lo avrebbe seguito nel nuovo progetto?
Premesso il fatto che le evoluzioni sono continue e quotidiane, le dico che io sono contento che Renzi abbia detto chiaramente che non ha mai pensato di andarsene dal Pd. Un’iniziativa al di fuori dei dem non sarebbe stato un valore aggiunto, ma sottratto.
Non la stuzzica l’idea di un nuovo soggetto?
No, perchè finiremmo con due mezzi partiti, nessuno dei quali condivisibile, entrambi spinti a divaricarsi ulteriormente.
Qualcuno immaginava una sorta di ritorno a Ds e Margherita.
Impossibile. Ds e Margherita erano due soggetti costruiti per collaborare e poi arrivare a fondersi. Se dividi in due un partito unito, invece, non è facile tornare a una collaborazione e ritrovare le ragioni dello stare insieme.
E questi comitati civici, allora, a che servono?
Partiamo dal fatto che ci sono tante realtà civiche che stanno facendo per conto loro un’opposizione alle mosse sbagliate di questo governo. Servono persone che diano una mano a relazionarsi con questa realtà, perchè non può farlo direttamente un partito, che viene percepito a priori come un soggetto che punta a strumentalizzare. Ecco, i comitati civici servono come punto di osmosi rispetto all’azione del Pd, e la loro forza sta nel fatto che sono composti anche da altre persone, non solo da iscritti al Pd. In altre parole, sono un’area di contorno esterno non direttamente assimilabile, che può essere molto utile per trovare una sintesi interna.
Insomma, non un altro partito.
No, non sostituiscono il Pd e nemmeno servono a fare un altro partito. Sono un’altra cosa.
Ora però i renziani sono a corto di un candidato per il congresso. Come se ne inventa uno nuovo?
Io parto da un dato di: noi abbiamo fatto 5 anni di governo e dobbiamo avere un rapporto sereno con le cose che abbiamo fatto. L’ispirazione di fondo di una sinistra liberale era giusta, tutti gli strumenti, poi, possono essere messi in discussione. Da questa piattaforma di base, serve un candidato che rivendichi in modo non rozzo una continuità ideale con l’impianto della sinistra liberale, aggiornandole all’oggi. E, ad oggi, questa candidatura non è stata trovata.
E lei ha in mente un nome o almeno un identikit?
Se fosse disponibile, Matteo Renzi medesimo. Potrebbe legittimamente dire: assumo una parte della richiesta di discontinuità, ma continuo con il profilo ideale tracciato. In questo schema, potrebbe benissimo essere un ottimo candidato. Oltre a lui, non vedo candidati che esprimano perfettamente questo ideale, per cui si deve andare per approssimazione.
Sarebbe possibile?
Guardi, io dico questo: datemi un candidato che non abbia mai detto di uscire dall’impostazione della sinistra liberale, e quindi sia credibile per un percorso continuativo, ma che proponga un’analisi anche spregiudicata dei limiti che abbiamo avuto.
Implausibile, dunque, che i renziani convergano su un altro dei candidati presenti?
Io parto dall’analisi: Nicola Zingaretti si muove nella direzione di dire che vanno rivisti gli strumenti, ma che anche l’impostazione della sinistra liberale. Guarda a una sinistra più tradizionale, cosa che porta - volente o nolente - a costruire un partito minoritario che poi, in un quadro proporzionalistico dato per scontato, non può che avere come sbocco l’alleanza col Movimento 5 Stelle. Posizione legittima, ma incompatibile con la nostra. Per questo mi è poco comprensibile l’adesione di Paolo Gentiloni.
Martina, invece, viene dalle vostre stesse radici.
Martina ha una posizione intermedia: è stato vicesegretario di Renzi e ha condiviso molte scelte, eppure oggi sembra distanziarsi non solo nell’analisi degli strumenti ma, in parte, anche dall’impostazione ideale. Non sappiamo quanto in parte, vista anche l’adesione di Tommaso Nannicini che è stato uno degli uomini chiave del governo Renzi. Però, prendendo come parametro il suo intervento nella conferenza programmatica, risulta obiettivamente difficile ritrovarsi in Martina. La distanza è minore rispetto a Zingaretti, ma comunque molto forte. La confusione è ancora forte, però.
E aleggia anche lo spettro del 51% come condizione vitale per il futuro segretario.
Guardi, io la trovo una questione formalistica. Una volta che i candidati saranno filtrati a 3, alle primarie nazionali ci sarà una tendenza naturale a votare in prevalenza per due di loro. In ogni caso, anche se il primo rimanesse sotto la soglia, non è pensabile che il secondo e il terzo facciano un accordo contro di lui e contro il voto delle primarie.
Il punto determinante, però, è se i simpatizzanti andranno a votare.
Le dico quello che penso: al momento lo scenario è complesso e la fase è di totale confusione, per cui è difficile fare previsioni. Non conosciamo ancora per intero le piattaforme dei candidati e non conosciamo nemmeno tutti i candidati, perchè manca quello di un’area politica importante.
E se, per ipotesi, il nome non si trovasse?
Ecco, in questo caso io temo che queste primarie lascerebbero scoperta un’ampia fascia di iscritti ed elettori, che probabilmente non voterebbero.
Lei dice che, senza un renziano in corsa, il rischio è che in molti rinuncino a votare?
Purtroppo, secondo me, la credibilità delle primarie è appesa alla nostra capacità di esprimere un candidato nelle prossime ore. Solo così ci sarà un arco di proposte ampio e rappresentativo di tutte le realtà, in cui tutti i cittadini, alternativamente, potrebbero riconoscersi. Se mancasse un pezzo, il congresso diventerebbe grigio e privo di una opzione fondamentale.