Lo chiamano amore anche quando uccide. Quando la gente, intanto, si gira dall’altra parte. E mentre l’orrore e l’indifferenza crescono di pari passo, il Centro antiviolenza del Comune di Roma rischia di sparire, soffocato dalla burocrazia e da una contesa tra Comune e Regione che potrebbe spazzare via 20 anni di storia. Un pericolo che significa solo una cosa: non si è più capaci di reagire alla violenza, di considerarla tale. Assuefatti da un lato, eccessivamente burocrati dall’altro. Oria Gargano, presidente di Be Free, cooperativa sociale contro tratta, violenze e discriminazioni, di storie di violenza ne vede tante, «tutti i santi giorni». Ma l’omicidio della giovane Sara, data alle fiamme dal suo ex fidanzato, sembra sconvolgerla più delle altre. «Questa volta quello che è davvero mancato è la solidarietà della cosiddetta società civile. Le persone che non hanno soccorso Sara devono sentirsi in colpa». Per le altre, per chi cerca aiuto nei centri, sono le carte bollate a porre dei limiti al buon senso. Come nel caso di Roma, dove la Regione rivendica la proprietà del palazzo che ospita il centro, attivo dal 1996, chiedendo quindi gli affitti arretrati, una cifra altissima che il Comune non è in grado di pagare. E così tutto il vissuto di solidarietà rischia di finire fuori dalla porta.Questa volta non è stata la vittima a tentennare, a tirarsi indietro. Lei, «una giovane donna con la testa sulle spalle», aveva preso la sua decisione: lasciare un ragazzo troppo geloso e possessivo. «L’aveva fatto da sola. Immagino che lui le abbia chiesto di parlare un’ultima volta. Perché mai una persona dovrebbe pensare che qualcuno possa darti fuoco? », afferma. Lei non avrebbe potuto fare di più. Ma chi si è girato dall’altra parte quando lei, nel cuore della notte e sul ciglio della strada ha chiesto aiuto, avrebbe potuto. «C’è una profonda indifferenza nei confronti di situazioni di questo genere. Come si fa a non fermarsi di fronte ad una ragazzina che urla alle 3.30 di notte per strada? ». Una domanda che non può trovare risposta in un semplice “non avevo capito”. E allora molto ancora va fatto. E bisogna spiegare alla gente, dice la Gargano, che «la violenza di genere coinvolge tutti e che è nostra responsabilità intervenire. Molte delle donne che vengono da noi raccontano che spesso i vicini fanno finta di non sentire il loro sguardo le giudica il giorno dopo. La storia di Sara è l’apoteosi di questo orrore ma tutti i santi giorni c’è chi subisce violenza e non viene creduta. Non sente la solidarietà e questo Sara l’ha pagato con la vita». Nemmeno una parola sull’ex fidanzato reo confesso, Vincenzo Paduano, se non per spiegare le carenze educative di una società che non spiega adeguatamente il rispetto. «All’origine della violenza degli uomini sulle donne c’è l’incapacità di tollerare l’abbandono. Se gli uomini venissero abituati a capire cos’è l’amore e che l’amore prevede anche l’abbandono, forse molte cose si sarebbero potute evitare. Poi – aggiunge – le donne non vengono protette adeguatamente». Secondo l’Istat, una donna su tre è vittima di violenza. Per la Gargano, è necessario cambiare moduli formativi, insegnare sin dall’asilo l’accettazione dell’altro, il rispetto per le donne e per chi è diverso da noi. «Cose banali, forse. Ma a quanto pare no», aggiunge. Specie in un paese che ha le peggiori performance, rispetto agli standard europei, per la protezione delle donne. «L’Italia ha sottoscritto la convenzione di Instabul del 2011, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ma il nostro paese non copre neanche un decimo di quanto richiesto». E ora anche quel poco che c’è rischia di chiudere i battenti.