PIERO SANSONETTI: SONO FAVOREVOLE  Io sono favorevole al riconoscimento del reddito minimo. Credo che sia un diritto maturo nella nostra società.Adeguato al suo livello di ricchezza e di civiltà. Il reddito minimo sostituisce il diritto al lavoro, sostituisce il mercato, appiattisce la distribuzione della ricchezza e gli stili di vita? Cioè è una misura socialista? No. Semplicemnte impedisce che la miseria sia il carburante del liberismo. Non lo ha inventato né Lenin né Breznev. Lo concepì mezzo secolo fa un presidente americano che si chiamava Johnson Reddito sì: giusta la concorrenza ma la dignità va garantita a tuttiIl problema è molto semplice: quali sono i diritti essenziali della persona? E cioè: quali sono i diritti che uno Stato moderno deve tendere a garantire, o a fornire, a tutti i cittadini? A occhio, oggi, in Occidente, si risponde più o meno così: la salute, l’acqua, l’aria, la scuola, la libertà, la riservatezza, la proprietà, la difesa, la dignità personale. Qualcuno aggiunge i trasporti. Qualcuno non considera l’acqua un diritto. Però, insomma, il recinto più o meno è quello. Poi ci sono altri diritti che sono riconosciuti ma non sono del tutto rispettati, e talvolta sono pochissimo rispettati, per esempio il diritto a una casa e il diritto al lavoro.Io penso che siamo arrivati a quella fase dello sviluppo, sia economico che di civiltà, che ci può permettere di aggiungere a questo elenco un altro diritto, e cioè il diritto a un reddito minimo. Il reddito minimo non è una misura di stampo socialista, e solo in parte deriva dai principi dell’egualitarismo. Il reddito minimo non tende all’appiattimento dei redditi, al quale tendevano le vecchie società socialiste, ma semplicemente ad elevare la forza e anche l’invasività del welfare. E a smontare la totale identificazione tra reddito e lavoro.Il reddito minimo non intacca in nessun modo la possibilità di lavorare per migliorare le proprie condizioni economiche, le condizioni della propria vita, le capacità di possedere, o di arricchirsi, o di rendere più soddisfacente la propria esistenza materiale. L’idea di rompere l’identificazione totale tra lavoro e reddito è un’idea che non contrasta - né coincide - né con il socialismo né con il liberismo. E’ un’idea indipendente da queste due ipotesi di futuro e di relazioni economiche. Con il reddito minimo resta il lavoro lo strumento principale per realizzare reddito, e ricchezza, e benessere per sé e per la propria famiglia, ma senza spingere questo principio fino a giustificare la povertà e la miseria. Non credo che nessuno aspiri a una società dove comunque sopravviva una fascia, seppur ridotta, di miseria. Né che nessuno pensi che la miseria, e la povertà, possano funzionare da carburante per la macchina della concorrenza e dello sviluppo. Ma se siamo d’accordo su questo punto, non vedo dove possa essere l’opposizione pregiudiziale al reddito minimo.Del resto l’idea di attuare un piano di sostegno di Stato con l’obiettivo di far scomparire la povertà, assai prima che l’idea venisse a Di Maio e a Casaleggio ( e, devo dire, in forme assai più serie e approfondite) venne più di mezzo secolo fa a un signore che si chiamava Lyndon B. Johnson, e che all’epoca ricopriva la carica di Presidente degli Stati Uniti d’America. Johnson, che successe a Kennedy e diede una spinta impetuosa alle politiche sociali kennediane, preparò un progetto che si chiamava Great Society, e al quale parteciparono i più esperti e sofisticati economisti del mondo ( più o meno tutti di scuola keynesiana), e in quel piano spuntava per la prima volta il reddito minimo. Eravamo nel 1964, e Johnson era alla Casa Bianca da pochi mesi. Poi in agosto ci fu il famoso incidente nel golfo del Tonchino ( una nave americana fu attaccata da aerei vietnamiti, almeno, così disse Washington, ma poi, anni più tardi, si scoprì che non era vero) e scoppiò la guerra del Sudest asiatico, e la politica interna di Johnson andò a farsi benedire, perché le spese militari, per oltre dieci anni, schizzarono alle stelle e seppellirono il reddito di cittadinanza. Ho raccontato questa storia americana per dire che l’idea del reddito di cittadinanza è un’idea liberale. Che anzi fu concepita da Johnson come strumento di lotta contro le idee sociali del comunismo russo. Il reddito minimo non devasta il mercato, né lo mette da parte, né abolisce i principi della concorrenza: semplicemente affianca il mercato perché non gli riconosce diritto di vita e di morte sulle persone. Allora il reddito previsto da Salvini e Di Maio è oro colato? No, questo no. Anche perché se è vero che sono stati stanziati 10 miliardi scarsi, è chiaro che sarà una misura molto contenuta, non certo universale. Per rendere universale il reddito di cittadinanza credo che occorrano circa 50 miliardi. E anche perché, probabilmente, l’attuazione del reddito di cittadinanza, nelle condizioni economiche attuali, è impossibile senza una riforma fiscale molto robusta e di segno opposto rispetto a quella immaginata dai gialloverdi ( e cioè con un aumento e non una riduzione delle tasse per i ricchi). Dico solo che l’idea è buona. E non sarebbe male se fosse presa in considerazione, e studiata, dalle forze politiche anche dell’opposizione e dagli economisti e dai sociologi. Il reddito di cittadinanza è una misura che modifica tutti gli equilibri sociali, ed è molto pericoloso improvvisarlo in pochi giorni. (Fine) ASTOLFO DI AMATO: SONO CONTRARIO  La manovra economica che il governo giallo- verde ha approvato prevede la realizzazione, in deficit, di tutte le promesse elettorali e, tra queste, del reddito di cittadinanza. Le scene di giubilo dei ministri pentastellati, che si sono affacciati festanti dai balconi di Palazzo Chigi, indicano che si è trattato di un risultato voluto fortissimamente, a dispetto di qualsiasi logica di oculata gestione dei conti pubblici.L’andamento di piazza affari e dello spread indica che il mercato sta dando una valutazione estremamente negativa di quanto accaduto, con un prezzo di ora in ora più pesante, che sarà pagato dall’intero Paese e, come al solito, dalle fasce più deboli. Già ci si può porre il problema, nel momento in cui le avvisaglie negative di oggi dovessero ulteriormente consolidarsi, se sarà possibile pagare non solo il reddito di cittadinanza, ma anche gli stipendi e le pensioni. A parte questa valutazione di carattere generale sulla insipienza di una manovra economica da dilettanti allo sbaraglio, occorre comunque chiedersi se il reddito di cittadinanza meriti una valutazione positiva come linea di tendenza che comunque sarebbe necessario percorrere per ridurre le ingiustizie sociali. Il tema si interseca, ovviamente, con la duplice questione di dare una risposta alle attese del presente e di delineare un progetto di società per il futuro.Il reddito di cittadinanza è proposto come una misura volta a dare sostegno a coloro che, senza lavoro, hanno comunque diritto ad una esistenza dignitosa. Ed è ovvio che, se l’angolazione in cui viene considerato è questa, diventa difficile argomentare contro il diritto di ciascuno ad una esistenza dignitosa. Ma la vera questione è un’altra. Sono immaginabili due concezioni dell’organizzazione sociale completamente diverse. La prima è statica e poco mossa, non vi è necessità di essere attivi per poter vivere dignitosamente, ricevendo comunque dallo Stato tutte le protezioni. Si tratta di una società destinata a morire. Una società in cui manchi lo stimolo ad essere attivi, finisce con l’essere una società in cui la ricchezza non si produce, ma si consuma soltanto. Per di più una società destinata all’impoverimento progressivo è una società che riesce ad essere tenuta insieme solo con l’uso della forza e la negazione delle libertà individuali. In fondo è il tipo di società che era stato realizzato nei Paesi comunisti dell’Est e che la storia ha bocciato. Ecco, allora, che appare assolutamente preferibile una società la quale stimoli l’iniziativa individuale ed il desiderio di ciascuno di migliorarsi. In una società del genere non scompare affatto il ruolo dello Stato, ma la sua funzione diventa completamente diversa. Spetta allo Stato stimolare l’economia in modo che vi sia una moltiplicazione delle occasioni di lavoro. Spetta, ancora, allo Stato, incrementare, molto più di quanto avviene adesso, l’attività di formazione in modo che tutti i cittadini abbiano gli strumenti intellettuali e la capacità di fare, necessari per poter rispondere positivamente alle occasioni di lavoro che si vanno a creare. Una esigenza del genere deve essere avvertita con ancora maggiore intensità in un momento, quale l’attuale, in cui vi sono due fenomeni che stanno sconvolgendo il mondo del lavoro. Il primo è costituito dalla feroce disintermediazione realizzata da internet, che ha reso improvvisamente superflui tutti i ruoli e le attività che avevano, appunto, un ruolo di intermediazione ( si pensi alle agenzie di viaggio o anche al commercio). Il secondo è l’arrivo, che si prospetta sempre più minaccioso, della intelligenza artificiale, la quale sembra essere destinata a soppiantare numerose attività, da quella dell’avvocato a quella del medico. Si tratta di fenomeni epocali, rispetto ai quali pensare di difendersi con un atteggiamento passivo quale è quello che sta dietro la prospettiva del reddito di cittadinanza, significa condannare il Paese al declino. Ancora più accentuato di quanto è avvenuto sinora.È necessario uno Stato che combatta un atteggiamento rinunciatario e la passività sociale, stimolando e favorendo l’iniziativa individuale e la volontà dei singoli di migliorarsi e di progredire. Il che, ovviamente, non significa affatto dimenticarsi degli ultimi. Significa, tuttavia, fare in modo che la categoria degli ultimi sia una categoria assolutamente residuale e non la generale platea di tutti i cittadini.