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L'avvocato Andrea Stefani. In basso a destra, un disegno della bambina sulla sua vita con le affidatarie
Sorrisi, abbracci, momenti di vita e di gioia. Sono le immagini proiettate oggi in aula durante la discussione di Andrea Stefani, difensore di Fadia Bassmaji e Daniela Bedogni, le due affidatarie che secondo la pm Valentina Salvi avrebbero maltrattato la piccola K., la bambina a loro affidata dopo aver chiamato i carabinieri perché lasciata da sola in casa dai genitori. Le due donne, secondo la pm - che ha chiesto una condanna di tre anni a testa -, sarebbero parte del “Sistema Bibbiano”, un girone infernale in cui servizi sociali e psicologi lavoravano per togliere i bambini a famiglie innocenti e affidarli ad amici e conoscenti. Bassmaji e Bedogni, però, sono le uniche due affidatarie coinvolte nell’inchiesta: secondo la pm Valentina Salvi, infatti, per loro l’affido sarebbe stata una «questione politica», concetto, secondo la difesa, travisato dall’accusa.
«Non si trattava solo di una generosità istintiva - aveva spiegato Stefani -, c’era una forte consapevolezza del ruolo che ricoprivano e dell’importanza del loro operato. Una testimone ha parlato di una consapevolezza politica, e io ci credo profondamente, ma non nel senso malevolo che le attribuisce la pubblica accusa. Queste persone portavano sulle spalle un carico diverso rispetto agli affidatari “normali”. Secondo l’accusa, il loro errore sarebbe stato quello di appartenere a “una categoria”, una colpa legata alla loro esposizione pubblica. Dall’inizio alla fine, non c’è stato rispetto».
Nel concludere la propria arringa, Stefani ha analizzato l’accusa più pesante di tutte, quella di maltrattamenti. Fatti, secondo la stessa pm, «a fin di bene», stando alla sua requisitoria. «Mentre le prime accuse mi sono sembrate artificiose, articolate e fin troppo macchinose - ha esordito Stefani -, quelle relative ai presunti maltrattamenti presentano qualcosa di diverso. Vanno oltre l’essere cervellotiche. Speravo venissero ritirate e invece ci troviamo a dover affrontare imputazioni così lontane dalla realtà, così irreali, da richiedere un doppio sforzo solo per confrontarcisi». Il reato in questione richiede infatti, per configurarsi, «una persistente azione vessatoria, idonea a ledere la personalità della vittima».
Ma, come sottolinea la difesa, «la relazione tra K. e le affidatarie descrive una realtà diametralmente opposta». Lo confermano anche le parole della stessa bambina, che a sommarie informazioni davanti alla pm afferma l’esatto contrario della tesi accusatoria: «Mi trovo molto bene con loro. Loro proprio sono un’altra famiglia. Loro mi vogliono bene». Ma anche i mille post-it e i suoi disegni, dove spiegava che la sua vita era cambiata del tutto e di stare bene.
Ci sono stati, tutt’al più, momenti di difficoltà, «episodi sporadici nell’arco di ben tre anni di relazione affettiva». E sarebbero questi i maltrattamenti: rari momenti di perdita di pazienza da parte delle affidatarie, che «non integrano nemmeno in astratto l’ipotesi incriminatrice, dovendo essere analizzate all’interno di una situazione altamente stressante». Una situazione in cui le affidatarie sapevano già di essere indagate.
Le accuse sono dunque «il risultato di un’estrapolazione parziale di elementi fuori contesto», per i quali non si è mai tenuto conto della complessità della relazione quotidiana con K., che tuttavia emergeva traboccante di buona genitorialità in uno sforzo continuo nel sostenere le sue difficoltà. Difficoltà «evidenti», frutto di traumi della sua vita precedente, che hanno a tratti «destabilizzato la famiglia affidataria allargata, mettendo a dura prova le risorse di tutti».
Per la pm sembra quasi «non vi dovessero essere liti o incomprensioni all’interno del nucleo affidatario», giustificando, invece, «con grande empatia gli episodi di maltrattamento dei genitori, descritti come “abbandonati dalle agenzie”». Uno «zelo» che non è stato applicato alle due donne. Ma al netto di tutto, non solo non ci sono prove a sostegno della tesi accusatoria e, anzi, alcune accuse «sono state radicalmente smentite». Prove positive che, in alcuni casi, erano già presenti documentalmente, senza bisogno di un processo.


Un disegno della bambina sulla sua vita con le affidatarie
Nel corso della sua requisitoria, la pm ha riconosciuto che le condotte delle affidatarie erano «poste in essere a fin di bene» e ispirate dalla sincera convinzione che K. avesse subito traumi da rielaborare. Ma per Salvi «le condotte maltrattanti restano tali anche se commesse a fin di bene».
Una tesi che, secondo la difesa, può reggere solo in presenza di atti realmente lesivi: violenze fisiche, punizioni sproporzionate, sopraffazioni reiterate. Non certo richiami verbali o conflitti isolati, come quelli al centro di questo processo. E «non è un caso - ha aggiunto Stefani - se non si rinvengono precedenti giurisprudenziali riferiti a casi di maltrattamento commessi attraverso gli inviti ad aprirsi con la psicoterapeuta, per affrontare le proprie difficoltà e tentare di risolverle».
Insomma, l’unica volontà era quella di curare K., «la ricerca del suo benessere e del consolidamento di una personalità che la facesse stare bene nel mondo». Una dedizione quotidiana, costante, anche nei momenti di crisi. Le due donne sono «colpevoli di cura», ha ricordato Stefani citando le parole della dottoressa Miazzi.
La pm, però, ha parlato di «clima d’inferno» e di K. come un «ostaggio», termini che si scontrano con le immagini proiettate in aula, le prove e le testimonianze. Si tratta di «parole e accuse che offendono una storia di vita e le tre persone che ne sono state protagoniste, compresa K.», ha detto Stefani.
«Il pubblico ministero e gli inquirenti hanno concentrato la loro attenzione nella ricerca di elementi di prova che consentissero di mettere sotto accusa quella relazione d’affido e di esporre alla gogna mediatica le due donne affidatarie»; l’audio dell’intercettazione in auto sotto la pioggia, trasmesso all’epoca allo sfinimento su tutti i media nazionali e fatto ascoltare una decina di volte nel corso del processo, ne è testimonianza. «I risultati di questa incessante attività di ricerca, ostile e refrattaria a ognuna delle migliaia di prove contrarie, è finalmente sotto gli occhi di tutti».
Ma non solo: le accuse di maltrattamento «cozzano apertamente con il quadro evolutivo positivo» che la minore ha mostrato nel periodo trascorso con le due donne. Un miglioramento costante, riconosciuto tanto dai clinici quanto dai testimoni, e certificato nero su bianco anche nelle consulenze tecniche d’ufficio del 2019, in cui si parlava chiaramente di «consolidamento delle capacità emotive e sociali» della ragazza.
Un’evidenza ancora più rilevante se confrontata con il peggioramento descritto dagli operatori che hanno seguito K. dopo il suo allontanamento: una regressione che, per la difesa, mostra quanto quell’ambiente fosse «un contesto di supporto e protezione», tutt’altro che maltrattante. E in diverse occasioni aveva chiesto di poter rimanere con le affidatarie.
Ed era stata la stessa bambina, intercettata con la madre, a dire che le due affidatarie non la maltrattavano. «Ti giuro - diceva - non riesco a capire chi è stato a dire una cosa del genere».
Alla consulente dell’accusa sono state fornite solo 30 intercettazioni e di queste solo 8 vedevano presente la bambina, quindi «le uniche realmente rilevanti rispetto al quesito assegnato», ovvero la natura della relazione tra K. e le affidatarie. Intercettazioni, sottolinea la difesa, selezionate da un archivio ben più ampio: quasi 3.000 progressivi, di cui circa 1.000 contenevano «vere conversazioni tra K. e le affidatarie», che avrebbero potuto fornire un quadro autentico del rapporto, con centinaia di interazioni positive e amorevoli.
Una delle accuse più gravi è quella di “denigrazione sistematica” dei genitori biologici. Ma anche qui la risposta è netta: «Mai, nemmeno una volta, le affidatarie hanno parlato male dei genitori davanti a lei. Hanno sempre sostenuto i suoi sentimenti positivi verso di loro», ha spiegato Stefani.
E sono decine i messaggi in cui le due donne riferiscono i sentimenti positivi nei confronti dei genitori, curandosi di mandar loro foto e pensieri della bambina. Le intercettazioni puntuali lo confermano: «Hai tanti bellissimi ricordi della mamma, è vero?», chiede Fadia a K. in una conversazione registrata.
Un passaggio cruciale è dedicato al giorno in cui K. venne allontanata dalla casa delle affidatarie. È lì, nel momento più duro, che secondo la difesa emerge in modo lampante la vera natura della relazione tra Fadia e la bambina: una relazione fatta di premura, protezione e amore.
«Nonostante lo sconcerto e lo smarrimento», ha ricordato l’avvocato Stefani, Fadia «ha mantenuto la solidità emotiva necessaria per mettere in primo piano K., rassicurandola». Un fatto confermato dalla testimone Loredana Soldivieri, presente al momento dell’intervento di Carabinieri e assistenti sociali: «È stata premurosa nel preparare lo zainetto, l’ha abbracciata rassicurandola, dicendo che tutto sarebbe andato bene, di stare tranquilla, che non era una cosa brutta, e noi siamo andate».
Le due donne tentarono in tutti i modi di agevolare il delicato passaggio, anche attraverso un vademecum affettuoso, un documento in cui elencavano “le cose che piacciono a K.”, per facilitare il compito a chi avrebbe preso in carico la bambina. Un gesto che la consulente della difesa ha definito «incredibile» e «perfino commovente».
A essere trascurata non sarebbe stata K., dunque, ma - da parte dell’accusa - una quotidianità fatta di amore, pazienza e cura. «Il pezzo di vita che vede Fadia, Daniela e K. protagoniste di quella storia - ha concluso Stefani -, trabocca di esperienze positive e ricordi felici». Spazzati via da “Angeli e Demoni”.