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INTERCETTAZIONI TELEFONICHE
La Cassazione “allarga” l’ambito di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni rispetto alla lettura più rigida della sentenza Cavallo, che aveva posto un argine all’utilizzo “indiscriminato” dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per cui erano state autorizzate, in base all’articolo 270 c. p. p.. Con la sentenza della Terza sezione penale, n. 18413/ 2025 - pubblicata sul blog forogiurisprudenzacptp -, i giudici di Piazza Cavour hanno infatti ribadito l’attualità del principio affermato dalle Sezioni Unite, fornendo importanti chiarimenti sull’interpretazione delle nozioni di “medesimo procedimento”, intesa come più ampia di quella di “medesimo reato”. Secondo i giudici, si resta nell’ambito del “medesimo procedimento” quando il reato per il quale si procede, sebbene non enunciato nel decreto di autorizzazione delle intercettazioni, si riferisce ad un fatto storico il cui “nucleo centrale” coincide con – o è incluso in – quello posto a fondamento del precisato provvedimento.
Questo significa che, anche se la qualificazione giuridica cambia o il reato originario viene meno, l’utilizzabilità persiste se le indagini successive (che portano a contestazioni diverse) riguardano sostanzialmente lo stesso contesto di accadimenti. La nozione di procedimento, dunque, non può essere ancorata esclusivamente all’iscrizione nel registro degli indagati, né - stando alla sentenza - può ritenersi automaticamente distinto un procedimento solo perché si è evoluto rispetto alle originarie ipotesi di reato.
Pur rimanendo invariati i presupposti per disporre le intercettazioni, ciò che cambia è cosa si può fare con i risultati: in assenza di connessione ex articolo 12 c. p. p., le intercettazioni restano comunque utilizzabili se i fatti emersi rientrano, almeno parzialmente, nel fatto storico posto a base dell’autorizzazione originaria: in tal caso si è nel medesimo procedimento, secondo un’interpretazione sostanziale che, pur partendo da Cavallo, ne estende l’applicazione. Si tratta, dunque, di una maggiore estensione dell’utilizzabilità delle intercettazioni già autorizzate, sempre entro i limiti dell’articolo 266 c. p. p.. Una stabilizzazione della sentenza Cavallo che, attraverso la sua interpretazione, permette di superare quelle letture più stringenti di orientamento garantista che avrebbero potuto portare all'inutilizzabilità di captazioni formalmente valide. Tuttavia, «non emergono ragioni per chiedere un ripensamento del principio affermato da Sez. U. Cavallo». Il rischio è che se l’interpretazione del “nucleo centrale del fatto storico” viene applicata con eccessiva elasticità possa esserci il rischio che il vaglio giudiziale iniziale sull’autorizzazione delle intercettazioni diventi meno stringente. Se i reati “ulteriormente definiti” possono rientrare nel “medesimo procedimento” con una generica coincidenza del fatto storico, si potrebbe temere che il pm possa ottenere autorizzazioni basate su ipotesi di reato iniziali ampie o poco definite, per poi “pescare” reati diversi e più gravi che emergono dalle captazioni, senza la necessità di nuove autorizzazioni specifiche e un vaglio rinnovato.
La sentenza stessa si difende da questa critica, affermando che la corrispondenza tra il fatto storico posto a base dell’autorizzazione e il “nucleo centrale” della nuova imputazione garantisce che non si tratti di un’autorizzazione “in bianco”. Tuttavia, la concreta applicazione di questa “corrispondenza” potrà essere oggetto di discussione. Un potenziale rischio aggiuntivo riguarda la nozione di “nucleo centrale del fatto storico”, criterio di tipo sostanziale e, come tale, potenzialmente meno oggettivo e più suscettibile di interpretazioni diverse rispetto a una connessione giuridica formale (come l’articolo 12 c. p. p.). Ciò potrebbe portare a incertezze applicative e a contenziosi sulla sussistenza di questo “nucleo” nelle singole fattispecie, con una conseguente maggiore discrezionalità per il giudice di merito nel valutare l’utilizzabilità e il rischio di decisioni meno uniformi.
Per valutare l’utilizzabilità delle intercettazioni, stando alla sentenza, occorre dunque partire dai provvedimenti autorizzativi per identificare i “fatti costituenti reato” cui si riferiscono, estendendo l’analisi anche agli atti richiamati (richiesta del pm e informative di polizia giudiziaria). È infatti ritenuta legittima la motivazione per relationem, purché sia effettiva, conosciuta o conoscibile e consenta al giudice di operare un reale vaglio critico. La sentenza aggiunge anche, esplicitamente, che non assume rilievo neppure l’intervenuta archiviazione del procedimento originario nel quale le intercettazioni sono state disposte.
L’archiviazione rileva solo per escludere una connessione ex articolo 12 c. p. p., ma non impedisce di considerare i risultati delle intercettazioni ancora nel “medesimo procedimento” se sussiste il legame con il fatto storico originario. La novità sta dunque nella netta deformalizzazione del concetto di “medesimo procedimento”, spostando il focus dalla mera connessione giuridica ( art. 12 c. p. p.) o dalla formalità dell’iscrizione/ archiviazione, a una “connessione fattuale” basata sull’identità o inclusione del “nucleo centrale” del fatto storico che ha giustificato l’autorizzazione iniziale delle intercettazioni. Questo permette di utilizzare le intercettazioni per i reati che si sviluppano da quel medesimo contesto fattuale, pur nel rispetto dei limiti di ammissibilità dell’art. 266 c. p. p. e della garanzia costituzionale contro le autorizzazioni “in bianco”