L’appello della premier Giorgia Meloni a moderare i toni non ha avuto effetto. Di fronte all’ennesimo attacco del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, all’Ufficio del Massimario – lanciato questa volta dalle colonne del Messaggero – è il Consiglio superiore della magistratura ad alzare le barricate. Con un documento firmato da tutti i togati, oltre che dai laici Roberto Romboli, Michele Papa ed Ernesto Carbone, Palazzo dei Marescialli ha chiesto l’apertura di una pratica a tutela dei giudici del Massimario della Corte di Cassazione, travolti dalle polemiche politiche dopo la pubblicazione di due relazioni critiche su due provvedimenti bandiera del governo: il decreto Sicurezza e il decreto Albania, entrambi, secondo l’Ufficio di piazza Cavour, a rischio incostituzionalità. Secondo i consiglieri firmatari, si tratta di un’attività ordinaria: da oltre vent’anni, il Massimario si occupa di raccogliere, ordinare e sistematizzare la giurisprudenza, elaborando analisi e relazioni per facilitare l’interpretazione delle norme da parte dei giudici. Valutazioni non vincolanti, le sue, che per il centrodestra, invece, configurano «interferenze indebite nell’azione del legislatore o atti di condizionamento nei confronti dei magistrati», come si legge nel testo firmato dai consiglieri.

Il ministro Nordio si è detto «incredulo» e ha annunciato di aver dato mandato al proprio ufficio di gabinetto per verificare il regime di diffusione delle relazioni, da sempre accessibili a tutti sul portale di Piazza Cavour. Poco importa: a suo giudizio, l’intervento del Massimario sarebbe stato «irriverente verso il Capo dello Stato» - che ha firmato quel decreto senza rilievi -, «improprio» – perché lesivo del Parlamento – e «imprudente», in quanto contenente un «giudizio preventivo, netto e polemico». Giudizio che condensa, in realtà, tutte le voci polemiche che si sono espresse durante l’iter parlamentare e trasversale a tutta la comunità dei giuristi. Secondo i consiglieri del Csm, le dichiarazioni del Guardasigilli «trascendono il piano della dialettica politico-istituzionale», contribuendo a diffondere un’immagine distorta della funzione dell’Ufficio del Massimario e del ruolo dei suoi magistrati. È anche a partire da queste parole – sottolineano – che parte della stampa continua ad accusare la Cassazione di politicizzazione. Attribuire al Massimario un intento politico – questo il senso del documento – significa equivocare profondamente la sua funzione e mettere a rischio l’indipendenza di un organo che ha il compito di fornire chiavi di lettura neutre e ragionate della legislazione vigente e futura. Da qui la richiesta al Csm di «ripristinare una rappresentazione dell’attività dei magistrati del Massimario conforme alla funzione istituzionale che gli è propria», attraverso l’apertura di una pratica a tutela.

Durissimo il commento a latere di Ernesto Carbone, consigliere laico di Italia Viva, che accusa Nordio di aver «per l’ennesima volta» delegittimato la magistratura: «Oggi tocca al Massimario – afferma –. Arriva però con uno sgarbo istituzionale senza precedenti, coinvolgendo in modo maldestro il Capo dello Stato. Il ministro Nordio, anzi il magistrato Nordio, dovrebbe conoscere meglio di chiunque altro il ruolo del Massimario, e invece sembra ignorarlo. Magari tra qualche giorno ci spiegherà che Almasri lo hanno rimpatriato i giudici della Cassazione o che i giornalisti sono stati spiati dal Massimario. Chi si comporta così non vuole il bene del Paese. Oggi è toccato alla Corte di Cassazione, aspettiamo domani il prossimo bersaglio». Ma i laici di centrodestra non hanno gradito l’iniziativa dei colleghi, prendendone nettamente le distanze e accusansoli di alimentare le polemiche, «in un già complesso rapporto tra il potere esecutivo e l’ordine giudiziario».

«Più che l’apertura di una pratica a tutela sarebbe stato più opportuno valutare i contenuti e il tono del documento elaborato dagli alti magistrati, che in più punti travalica i limiti della funzione tecnica assegnata all’Ufficio», affermano Enrico Aimi, Isabella Bertolini, Daniela Banchini, Claudia Eccher e Felice Giuffrè. La relazione, affermano, conterrebbe numerosi passaggi «che si configurano come valutazioni politico-istituzionali, non sempre sorrette da un equilibrato richiamo ai principi costituzionali, e talvolta ispirate da un pregiudizio ideologico verso l’azione normativa dell’Esecutivo e del Parlamento». Alcuni passaggi, in particolare, risultano per i laici «ingiustificatamente enfatici e non condivisibili»: il riferimento a un presunto “colpo di mano” del governo, «del tutto estraneo al linguaggio tecnico-giuridico», le accuse di “prepotenza governativa” e di “regressione democratica”, «che non riflettono alcun riscontro oggettivo né nel testo del decreto-legge, né nell’iter parlamentare di conversione», la narrazione «tendenziosa secondo cui il ricorso alla decretazione d’urgenza avrebbe “svuotato” il ruolo del Parlamento, mentre, al contrario, l’iter di conversione ha rispettato pienamente i limiti costituzionali e ha visto un’ampia partecipazione parlamentare», peraltro giustificato, a loro dire, da motivi di urgenza.

«In uno Stato di diritto - concludono i laici -, la distinzione tra funzione giurisdizionale, legislativa ed esecutiva è presidio di equilibrio istituzionale. Le istituzioni democraticamente elette hanno esercitato legittimamente le proprie prerogative. La sicurezza dei cittadini, la dignità delle forze dell’ordine e il funzionamento del sistema penale non possono essere oggetto di polemiche pretestuose, né delegittimate con toni impropri da chi è chiamato a svolgere un ruolo tecnico e non politico».

Sul fronte politico, a contestare Nordio è anche Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Pd. «Nordio fa un altro scivolone istituzionale trascinando il presidente della Repubblica in una polemica politica per difendere un decreto del governo che ha scritto lui stesso e questo è profondamente scorretto - ha evidenziato -. Occorre una gran malafede anche solo per citare il Presidente in relazione a valutazioni tecniche non gradite formulate dall’ufficio del Massimario della Cassazione. Il primo a doversi preoccupare di eventuali rilievi di incostituzionalità è proprio il ministro». Un attacco «scomposto e allarmante» alle toghe, aggiunge Serracchiani, «confermando un’impostazione ideologica che vuole delegittimare il ruolo della magistratura e a piegare la giustizia agli interessi della maggioranza». Tocca al vicepresidente della Camera Fabio Rampelli la difesa d’ufficio del ministro. «Nordio ha ragione - replica il meloniano -. E ha ragione due volte: come magistrato e come ministro. Quanto scritto dall’ufficio del Massimario contro il dl sicurezza non è scritto da magistrati in una sentenza. Ma da tecnici che studiano, o dovrebbero studiare, le novità normative indicandone la corretta applicazione e senza esondare nella polemica politica. Cosa che invece è accaduta contestando i requisiti di necessità e urgenza del provvedimento». Per Rampelli, la Cassazione «emette sentenze sui procedimenti giudiziari verificando se le procedure siano state rispettate. Mai e poi mai emette sentenze su provvedimenti legislativi ancor meno sulla loro costituzionalità. Spetta alla Corte costituzionale fare da organo di verifica. Ma prima della corte c’è il Quirinale».