Non c’è nulla di nuovo, ma ogni volta in cui la scena si ripete fa sempre un certo effetto: Anm e partiti d’opposizione si ritrovano ancora una volta allineati e coperti nel protestare contro la separazione delle carriere. Stavolta il senso dell’invettiva riguarda il prevedibile, diciamo pure inevitabile ricorso della maggioranza, nell’esame del ddl Nordio in Aula al Senato, al “canguro”, cioè allo stratagemma regolamentare che consente l’accorpamento delle votazioni. Vengono abbinati ( e dunque “smaltiti”) non solo gli emendamenti perfettamente identici, ma anche quelli dal contenuto “sostanzialmente” analogo. Il punto è che le proposte di modifica sono oltre 1.363, presentate ovviamente tutte dalle minoranze parlamentari. Senza l’accelerazione, l’esame della riforma Nordio assumerebbe tratti da poema omerico.

Legittimo l’ostruzionismo, come sembra legittimo il ricorso alla semplificazione. Nel combinato disposto, la risultante ieri è stata la bocciatura dei soli emendamenti, appena 35, relativi all’articolo 1 della riforma: articolo che dunque nella prima serata è stato approvato, tra varie rimostranze rivolte dai senatori di Pd e Movimento 5 Stelle alla presidente di turno Licia Ronzulli. La dialettica contrasta col silenzio assoluto ( neppure un iscritto a parlare, non una mezza replica) dei senatori di maggioranza. Si ricomincia oggi alle 10: difficile fare previsioni, ma non sembra quotatissima l’ipotesi che sia questa la giornata del sì finale, a Palazzo Madama. Si tratterebbe d’altronde solo del completamento della prima “navetta”. Se tutto filerà liscio, al referendum confermativo si arriverà tra marzo e aprile 2026.

Roba ormai arcinota. Com’è nota, per tornare alla premessa, la consonanza fra Anm e centrosinistra, che promette di vivacizzarsi proprio in coincidenza con la campagna referendaria. «In questi minuti al Senato si sta votando la riforma costituzionale sulla magistratura. E la maggioranza lo sta facendo usando il canguro», ha scritto sul social “X” il “sindacato” delle toghe. Secondo il quale il “canguro” serve a «impedire la discussione e l’esame di tutte le proposte di modifica presentate» e per «procedere a una rapida approvazione». Ma «ridurre al massimo gli spazi di discussione e aggirare le proposte di modifica», secondo l’Associazione magistrati, «non porterà a un sistema più efficiente e non gioverà ai diritti dei cittadini». Dai partiti di opposizione i rilievi sono arrivati, come si diceva, sempre sulla questione di metodo, Se ne sono fatti carico l’ex sottosegretario dem alla Giustizia Andrea Giorgis, che di mestiere fa il professore di Diritto costituzionale, e il capogruppo pentastellato Stefano Patuanelli. Il primo ha chiesto alla presidente forzista Ronzulli «sulla base di quale criterio, precisamente, lei decide di applicare il cosiddetto canguro: dovremmo essere in grado di prevedere i criteri con i quali vengono messe in votazione solo alcune parole» di un emendamento «che, se bocciate, precludono la messa ai voti di altre proposte di modifica».

Obiezione analoga dall’ex ministro M5S allo Sviluppo economico: «La cosa che va chiarita è: possiamo avere un quadro preventivo rispetto a tutte le volte che il canguro verrà utilizzato nelle votazioni e gli effetti sul fascicolo? È centrale, per il dibattito». Ronzulli ha replicato che è «prassi costante» verificare, prima di ogni votazione, se il successivo emendamento non sia da considerarsi già assorbito da una di quelle precedenti.

Non si possono tacere un altro paio di dettagli. Il senatore Pd Michele Fina ha spiazzato l’alleanza di governo, e il gruppo di FdI soprattutto, con la citazione dell’ultima lettera appena pervenuta da Rebibbia (e pubblicata su questo numero del giornale, ndr) a firma di Gianni Alemanno: «Un atto d’accusa contro la politica che “dorme con l’aria condizionata”, scrive l’ex sindaco di Roma», giustapposto alla «descrizione dettagliata della vita in cella, tra il caldo torrido di queste settimane e il sovraffollamento degli istituti di pena: non so se noi qui stiamo parlando davvero dei problemi principali della giustizia», ha chiosato Fina.

L’altra nota riguarda le osservazioni che, sul testo della riforma Nordio, sono arrivate dall’Ufficio studi di Palazzo Madama: al di là di qualche limatura, colpisce il rilievo sulla neointrodotta Alta Corte disciplinare, le cui decisioni potranno essere appellate dai magistrati solo dinanzi all’Alta Corte stessa. S’intravede una contraddizione col comma dell’articolo 111 secondo cui “contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge”.

Non è chiarissimo se si tratti di uno stridore insostenibile. A essere chiaro è però il fatto che né il ministro della Giustizia né la premier Meloni, né il centrodestra in generale hanno intenzione di “bruciarsi” uno dei quattro passaggi parlamentari richiesti per inserire nella Carta il “divorzio” giudici- pm.