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APPELLO CARTOLARE
ALESSANDRO PARROTTA
AVVOCATO - DIRETTORE ISPEG
Ancora una volta, come già fatto in occorrenza della cosiddetta prima ondata relativamente alle prime misure restrittive che il governo aveva assunto per fronteggiare la — purtroppo — ancora attuale emergenza sanitaria, appare utile esaminare dal punto di vista tecnico- giuridico le conseguenze pratiche di alcune norme inserite nel recente decreto Ristori bis, predisposte al fine di contenere il contagio e la diffusione del covid anche nei Palazzi di giustizia.
Come sempre, il punto di partenza dell’analisi è l’occasione offerta dalla pandemia rispetto alla maggiore implementazione delle modalità telematiche non solo nel lavoro del personale amministrativo ma anche nell’attività processuale degli stessi due protagonisti della giurisdizione: magistrati e avvocati. Tuttavia, tale circostanza non può essere considerata tout court una notizia da accogliere con entusiasmo, soprattutto quando è ricondotta alla giustizia penale, ambito a cui va riconosciuta una specifica peculiarità rispetto agli altri. Nel procedimento penale operano ed emergono prerogative e diritti che coinvolgono la persona nella sua sfera più intima e delicata: la libertà personale.
E infatti, in questo senso, la possibile trasformazione del processo penale in un mero rito cartolare — ipotesi ventilata sia durante il primo lockdown che ancora adesso — pone inevitabilmente in serio pericolo le garanzie difensive alla base del sistema penale italiano, ambito nel quale il contraddittorio e il dialogo fisico tra le parti — giudice, pubblica accusa, difensore e imputato — costituiscono elemento imprescindibile e insostituibile.
La questione, recentemente affrontata anche nel decreto Ristori bis, concerne l’eliminazione in forma fisica delle figure dei magistrati e degli avvocati dall’aula, in relazione — per ora — al giudizio di appello. Questa sarebbe, tuttavia, secondo alcuni, solo l’anticamera di una previsione a più ampio spettro, concernente un futuro per il processo penale interamente cartolare e, per ciò, privo delle caratteristiche di oralità e immediatezza.
In particolare, il Decreto Ristori bis prevede l’abolizione dell’udienza fisica, a meno di richiesta espressa dell’interessato. La discussione orale in secondo grado viene così sostituita solamente dall’eventuale deposito di note scritte, sia da parte del difensore, sia da parte del procuratore generale.
In assenza della esplicita istanza delle parti, il processo d’appello è non solo ridotto a uno scambio di carte ma viene anche deciso in una “suggestiva” camera di consiglio virtuale, svolta da remoto dal collegio giudicante. Evenienza, obiettivamente, inaccettabile sia per gli avvocati penalisti, ma anche per la pubblica accusa.
Risulta evidente, infatti, come una simile impostazione priverà inevitabilmente il processo penale di quei requisiti essenziali per l’accertamento della verità, con particolare riguardo alla modalità dell’esame, del controesame e del riesame delle parti, e dell’effettivo accesso, per i componenti del collegio non investiti dal ruolo di relatore, agli atti necessari per maturare un plausibile convincimento.
Il sistema di ricerca della verità è, ovviamente, collegato alla presenza fisica: come si può pensare, ad esempio, di rilevare se un teste sta dicendo la verità su un fatto, senza la presenza fisica del teste stesso?
Un dato è, quindi, certo ed occorre ribadirlo ancora una volta: il processo penale, finanche solo limitatamente al giudizio di appello, non può essere ridotto a un mero adempimento burocratico automatizzato, ove la decisione è basata su un asettico scambio cartolare. Le ragioni, in questo caso dell’atto di appello, devono poter essere spiegate oralmente: può sembrare banale e di poca importanza, ma anche la gestualità e la percezione delle reazioni in aula rivestono un fondamentale ruolo in seno al procedimento penale.
In conclusione, il processo penale fisico non può essere sacrificato e stravolto nella sua natura più profonda neanche a fronte dell’esigenza di ridurre il rischio di contagio: i rimedi, sempre rimanendo aderenti alle misure di contenimento del virus, in tal senso devono necessariamente essere altri e vanno ricercarti nella riduzione della burocrazia: richiesta degli atti in via telematica, deposito degli stessi da remoto, consultazioni dei fascicoli su piattaforma on- line. Si tratta di modalità che, queste sì meritoriamente, sono state puntualizzate da alcuni emendamenti al decreto Ristori bis approvati in Senato. Sarebbe impensabile che cancellerie di primari Palazzi di Giustizia esigano depositi cartacei di atti agilmente presentabili con firma digitale. Non è l’udienza d’appello a essere veicolo di contagio; semmai lo è la coda allo sportello per il deposito delle querele.
Vero è che l’emergenza sanitaria ha dispiegato tutta la fragilità di un sistema, quello della giustizia, profondamente da rivedere, nel merito e nei mezzi.