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Si parte da una frase di Pier Paolo Pasolini: “Bisogna averne conoscenza. Non basta la coscienza o la pietà”. L’occasione è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e la sede è quella del Consiglio Nazionale Forense, dove ieri la presidente Maria Masi ha presentato il nuovo corso di alta formazione rivolto alle avvocate e gli avvocati per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere.
Curato dalla commissione integrata pari opportunità del Cnf e dal gruppo di lavoro Cpo sulla violenza di genere, il corso partirà il prossimo 15 dicembre e sarà strutturato in diversi moduli. Gli approfondimenti riguarderanno sia la normativa in materia che gli strumenti e le buone prassi impiegate sul territorio per contrastare il fenomeno. In ogni sua declinazione: dalla violenza fisica a quella psicologica ed economica; dai reati connessi alle nuove tecnologie, come il revenge porn, fino alla vittimizzazione secondaria e alla tutela dei minori che vivono in contesti di violenza domestica. «Abbiamo scelto questa frase di Pasolini - spiega Masi - perché descrive esattamente l’obiettivo di questo corso: promuovere la formazione e la competenza come strumento di prevenzione alla violenza. Un tema che ha sempre occupato e “preoccupato” il Cnf, e rispetto al quale è fondamentale fare rete per individuare le buone prassi e gli strumenti pratici di prevenzione e controllo del fenomeno». Per quanto il contesto sia in continua evoluzione - sottolinea la presidente del Cnf - e per quanto la violenza si manifesti in forme sempre nuove, ciò che resta immutato è il tipo di approccio e l'impegno profuso dall’avvocatura. Parliamo di un approccio principalmente «culturale» , spiega ancora Masi, e di un impegno quotidiano, che agisce oltre gli slogan e le ricorrenze, anche quando i riflettori si spengono. «Conoscere la legge non significa conoscere il fenomeno», spiega Marta Tricarico, avvocata e coordinatrice del gruppo di lavoro Cpo che ha dato vita al corso. Ad illustrare i diversi argomenti in cui si declinerà la formazione ci pensano invece Rossella Rosa Masi e Maria Rita Stilo, componenti della commissione integrata pari opportunità del Cnf. Che pongono l’attenzione sulla giustizia riparativa, destinata a diventare un caposaldo del nuovo processo penale delineato dalla Riforma Cartabia, e sul sempre più diffuso senso di sfiducia delle vittime, che rinunciano a denunciare per quella tendenza, diffusa anche nei tribunali, a ricercare nelle vittime stesse le cause della violenza. Una diffidenza di cui parla anche Barbara Rosina, vicepresidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali ( Cnoas). Della violenza in ambito lavorativo parla Franca Cipriani, consigliera nazionale di parità, mentre Patrizia Schiarizza, presidente dell’Associazione Il Giardino segreto, sottolinea l’importanza del progetto Airone dedicato agli orfani delle vittime di femminicidio. “Ogni tre giorni una donna viene uccisa, ogni tre giorni un bambino resta senza mamma”. E bisogna smettere di definire questi bimbi “orfani speciali”, perché sono bimbi come tutti gli altri, e la violenza nasce e si nutre anche di disuguaglianze. Alla violenza perpetrata attraverso strumenti telematici è dedicato l’intervento dell’avvocato Francesco Micozzi, mentre l’avvocato Lucio Barbato, dell’Associazione NessunDorma, pone l’attenzione sui programmi di recupero dei soggetti maltrattanti.
coordinatore della commissione diritti umani del Cnf e vicepresidente dell’Oiad, che ha parlato dall’attività di monitoraggio dell’Osservatorio internazionale degli avvocati in pericolo nei processi farsa che hanno luogo in Turchia a carico di avvocati, giornalisti e oppositori politici. Da Ebru Timtik, l’avvocata curda morta nelle prigioni di Erdogan dopo 238 giorni di sciopero della fame, all’avvocato Tahir Elç, assassinato nel 2015 dalle forze di polizia. Tutte vicende legato a doppio filo a quella narrata nel documentario, che racconta - attraverso la drammatica esperienza della giornalista curda Berfin Kar - i settantanove giorni di assedio da parte dei carri armati turchi a Cizre, città curda nel sudest della Turchia al confine con la Siria e l’Iraq, tra il 2016 e il 2017. Kamkari ha ricostruito la drammatica esperienza di Berfin Kar, che insieme al suo cameraman è rimasta bloccata nella città durante tutto il periodo dei bombardamenti, documentando giorno dopo giorno la violazione dei diritti umani perpetrate dall’esercito turco contro donne, anziani e bambini, ma anche il coraggio degli abitanti nel trovare forme di sopravvivenza e resistenza. Berfin Kar - simbolo del coraggio della libertà di stampa - oggi si trova in Turchia in attesa di essere processata.
Dopo la fuga da Cizre si era rifugiata in Europa con gli hard disk contenenti le riprese di quei giorni e tramite un network di filmmaker curdi è riuscita a contattare il regista Kamkari a cui ha proposto di visionare il girato. «Vedere la resistenza di un popolo che accetta la morte ma non si inchina - ha spiegato il regista - riempie il cuore di ogni spettatore di dolore e nello stesso tempo di orgoglio. Il viso dei bambini, il pianto dei padri sui cadaveri dei figli adolescenti uccisi dai cecchini e i volti orgogliosi delle donne, che sono state la spina dorsale della resistenza di Cizre, pronte a morire, ma non ad accettare l’ingiustizia. Questa è l’esperienza mia e di ogni curdo delle quattro zone del Kurdistan. Allora ho deciso di partire dal documento per denunciare un incredibile crimine contro l’umanità e per ricostruire un pezzo della memoria collettiva di un popolo ancora oggi diviso e perseguitato» .