L'articolo dell'Economist in cui si invitano gli italiani a votare No al referendum - mentre l'edizione annuale dello stesso periodico contiene appelli di tipo opposto a favore del Sì - è piuttosto confuso. Elenca diligentemente valutazioni in gran parte frutto di stereotipi. Assicura che l'Italia è «pericolosamente incline» al populismo e che ciò preoccupa l'Europa, senza spendere una parola su Brexit ed elezione di Trump: fatti che, a ragione o a torto, risultano assai più preoccupanti per la stabilità dell'Occidente.Sostiene il falso affermando che il nuovo Senato garantirebbe immunità ai suoi componenti, dimenticando che l'immunità parlamentare prevista dall'articolo 68, è stata cancellata dalla Costituzione dai tempi di Mani Pulite. Spiega che il pericolo vero è che Renzi, presumibilmente a sua insaputa come accadeva con Scajola, stia lavorando per far vincere Grillo e che l'antitodo a questa deriva è appunto votare No. Curiosamente (e masochisticamente) è il medesimo l'invito che arriva dall'ex comico, mentre il premier - ma pensa un po' - è per il Sì.Insomma un assemblaggio che assomiglia ad una maionese non particolarmente riuscita, compreso il richiamo ad un governo tecnico che sulla credibilità del sistema italiano avrebbe l'effetto di un colpo di maglio forse definitivo. Ciò non toglie che, tuttavia, quelle righe siano state prese sul serio, come prima accaduto con il Financial Times e il Wall Street Journal, scatenando un profluvio di dichiarazioni perfino da parte di Matteo Renzi stesso e a ruota del suo predecessore Mario Monti nonché dell'attuale ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. E' il segno di una perdurante subalternità politica e mediatica del nostro Paese rispetto ai partner europei. Gli italiani, come tutti gli altri popoli liberi, voteranno secondo le proprie convinzioni e valutazioni, e il loro responso farà testo.Piuttosto il nodo che più si avvicina la data del voto e più si fa stringente, riguarda il dopo. Se prevale il Sì, il premier volerà sulle ali di una leadership rilucidata alla grande e del prestigio di essere stato l'unico ad aver riscritto la Costituzione cambiando strutturalmente l'edificio istituzionale. Ma dovrà anche affrontare la revisione della legge elettorale secondo quanto promesso. E soprattutto dovrà confrontarsi con l'Europa. Da posizioni senz'altro più forti e però senza più l'alibi del voto referendario, con i due principali Paesi - Francia e Germania - alle prese con delicate campagne elettorali e perciò poco propense a concessioni. Per non parlare del fronte interno. Se infatti da un lato l'eventuale trattativa con Berlusconi risulterà per forza di cose inclinata a suo favore, dall'altro Ncd e Verdini presenteranno il conto per un appoggio, numeri alla mano, determinante. Anche in questo caso il premier godrà della posizione di rinfrancato vantaggio; ma come è noto più grosso è il bottino e maggiori diventano gli appetiti dei partecipanti.Non c'è comunque dubbio che le difficoltà diventerebbero molto più consistenti nel caso in cui a vincere fosse il No. Sotto questo profilo, è interessante il ping pong in atto tra i due eventuali protagonisti. Berlusconi, infatti, insiste per avviare un negoziato che avrebbe al centro la riforma dell'Italicum ma che poi inevitabilmente si allargherebbe ad altri fronti, a cominciare da quello economico generale e della salvaguardia del suo patrimonio aziendale. Una trattativa da condurre avendo di fronte un interlocutore indebolito e costretto a faarsi malleabile. Ovvio che Renzi non solo rifiuti ma ritenga del tutto inverosimile un simile copione. E non a caso avverte che se è questa l'impostazione, il fondatore di FI si ritroverà dall'altra parte del tavolo non lui bensì Grillo e D'Alema.Sono entrambi scenari che peccano di semplificazione. Sia che Renzi vinca sia, a maggior ragione, che perda l'idea che possa arrivare alle urne politiche, anticipate o a scadenza naturale della legislatura, in perfetta solitudine e con l'aureola del numero 1 senza avversari, è molto difficile da realizzare. Molto più concreta è l'eventualità che comunque un confronto con una parte dell'opposizione venga avviato: allo stato, è ostico immaginare fin dove possa arrivare. Nessuno potrà tirare la corda più di tanto, e non è fantapolitica prevedere che anche i Cinquestelle possano pensare di giocare un ruolo. Quel che è certo è che dopo il 4 dicembre si apre una nuova fase politica. Come è sicuro che i problemi strutturali del Paese restano gli stessi; complicati da una campagna elettorale durata mesi e piena di colpi bassi e volgarità. Ma decisamente niente a che vedere con la durezza di quella che porterà al voto politico.