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Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle, in occasione della conferenza stampa per contestare quanto sostenuto dal Gen. Mario Mori e dal Col. Giuseppe De Donno nel corso della loro audizione davanti alla commissione d’inchiesta in relazione alla strage di Via D’Amelio. Sede M5S a Roma, Mercoledì 14 Maggio 2025 (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Giuseppe Conte, president of M5S, at the press conference to contest what was claimed by Gen. Mario Mori and Col. Giuseppe De Donno during their hearing before the commission of inquiry in relation to the Via D'Amelio massacre. M5S headquarters in Rome, Wednesday May 14 2025. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
A volte ritornano. È fin troppo semplice rispolverare il vecchio adagio pensando a quello che è successo in casa pentastellata nell'ultima settimana, quando una riunione fiume del Consiglio nazionale ha dato il via libera alla madre di tutte le riforme, all'atto politico che ha mandato definitivamente in soffitta la stagione grillina, del movimento antisistema che voleva far saltare il banco.
Dei cittadini presi dalla società civile che avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatola di sardine, per svelare alla gente gli intrighi di Palazzo e punire la casta. Una casta che, nella narrazione degli eredi del “Vaffa”, era diventata tale grazie all'appropriazione indebita dei posti di potere da parte di una élite politica ormai autoreferenziale. Il grimaldello individuato da Beppe Grillo, l'uovo di Colombo per far collassare il sistema, avrebbe dovuto essere tanto semplice quanto efficace: il tetto di due mandati al proprio impegno politico a tutti i livelli, dal consigliere municipale al presidente del Consiglio, passando ovviamente per i parlamentari. Ed è proprio su questo fronte che si erano sentiti i primi scricchiolii interni, rispetto al presunto monolitismo sbandierato dal fondatore, quando molti appartenenti al nucleo originario del M5s avevano cominciato a guardare con mestizia al countdown della propria carriera politica.
E fu così che molti peones, con mossa astuta e discreta al tempo stesso, iniziarono a guardarsi intorno per trovare riparo sotto le insegne di un partito disposto ad accoglierli, come ad esempio FdI, sul cui exploit elettorale tutti stavano scommettendo, peraltro con ragione. Ma i big? Per loro il discorso era più complicato, non essendo possibile un cambio di casacca immune da scandalo, anche se queste considerazioni non impedirono a Luigi Di Maio di convertirsi all'agenda Draghi e di fondare un piccolo partito per portare acqua all'ex-numero uno della Bce, prima di essere mandato a casa dagli elettori e consolarsi con un incarico diplomatico di alta rappresentanza.
Poi c'è chi non ha tollerato la progressiva trasformazione in una forza più indulgente e in un certo senso assuefatta all'esercizio del potere, e ha abbandonato la nave preconizzando l'esito odierno. Basti pensare ad Alessandro Di Battista e a Danilo Toninelli: quest'ultimo, non a caso, negli ultimi giorni si è prodotto in una serie di critiche tranchant sul nuovo corso inaugurato da Giuseppe Conte, mentre il primo ha deciso di dissociarsi dal Movimento in tempi non sospetti.
Nel mezzo, una pattuglia di big e volti noti della stagione grillina che avevano deciso di conformarsi alla regola dei due mandati, puntando tutto su una sua futura abrogazione, verosimilmente fatta balenare loro dallo stesso Conte, per assicurarsi il loro sostegno al momento del duello rusticano con Beppe Grillo per la leadership. E l'abrogazione è arrivata, puntuale, con un primo avallo degli iscritti, la ratifica degli organi interni a cui mancasolo un ultimo passaggio formale online. D'ora in poi, dunque, sarà ammesso un terzo mandato per coloro che, pur avendone già sostenuti due, sono passati attraverso uno “stop and go” di almeno cinque anni o saranno eletti in un altro livello rappresentativo.
Un primo tentativo di blandire gli inquieti per il proprio futuro fu fatto con la famosa regola del “mandato zero”, che annullava dal computo il primo mandato per i consiglieri comunali ma ora da deroga si è passati a principio generale: il terzo mandato sarà possibile per tutti. Con grande - si presume – soddisfazione di figure come l'ex- presidente della Camera Roberto Fico, che ha “resistito” lontano dai palazzi e ora può presentarsi senza macchia all'appuntamento delle Regionali campane, oppure l'ex- capogruppo ed ex- reggente Vito Crimi, disciplinatamente uscito dai radar dalla fine della scorsa legislatura.
Poi ci sono ex-ministri come Alfonso Bonafede e Fabiana Dadone, o ex- sindaci come Virginia Raggi (che altrimenti sarebbe arrivata al capolinea contando anche il mandato zero) e Chiara Appendino, attualmente deputata. Una nuova chance di essere eletta anche per una delle espressioni più veraci della stagione grillina, vale a dire Paola Taverna, ma anche per Laura Bottici, Gianluca Perilli e via dicendo. Parlando ai suoi dirigenti, Conte ha tenuto a specificare che, dopo questa riforma, in ogni caso nessun esponente pentastellato potrà accumulare più di tre mandati ma a questo punto, nessuno si sente autorizzato a porre un limite ai mandati della Provvidenza.