Matteo Salvini affonda il piede sull’acceleratore della Lega nazional-sovranista, lasciando un po’ di amaro in bocca alla componente nordista e federalista del partito. Con le nomine – annunciate - di Roberto Vannacci e Silvia Sardone a nuovi vicesegretari, approvate nel corso del Consiglio federale, il leader leghista ridisegna gli equilibri interni, consolidando il proprio asse con la destra identitaria e muscolare che piace a una certa base, ma che da tempo agita gli animi nel Nord produttivo.

La nuova segreteria — prevista dal nuovo statuto approvato al congresso di Firenze di un mese e mezzo fa — avrà ora quattro vice: oltre ai due eurodeputati, restano in squadra il veneto Alberto Stefani e il laziale Claudio Durigon. Lascia Andrea Crippa, vicinissimo a Salvini, in attesa però di altri incarichi. Una scelta che suona come un messaggio a tutto il partito, dopo la rielezione per acclamazione del segretario a Firenze: si va avanti marcando l’identità nazionalista.

La presenza di Vannacci — l’ex generale salito alla ribalta con un libro autoprodotto intriso di retorica sovranista — è il segnale più forte. Accolto da mesi come beniamino della base più radicale, il suo ingresso nella stanza dei bottoni segna la saldatura definitiva tra Lega e narrativa populista di destra. Silvia Sardone, invece, rappresenta la faccia urbana e militante della stessa impostazione: europarlamentare milanese, sempre in prima linea su temi come sicurezza, immigrazione e battaglie identitarie, incarna lo stile diretto e polarizzante che ha caratterizzato l’evoluzione della Lega salviniana.

Ma non tutti applaudono deferenti: dai territori storici del Carroccio emergono segnali di scetticismo, o quanto meno di freddezza. Il governatore del Veneto Luca Zaia, interpellato poco prima delle nomine, ha preso le distanze con eleganza: «Non cambio identità in base ai vicesegretari», ha dichiarato, rivendicando il percorso autonomista e territoriale che in passato ha fatto della Lega un partito di governo radicato nel Nord. «Abbiamo una missione: rappresentare le diverse identità di questo Paese, attivare un percorso che ci ha sempre premiato». Parole misurate, ma con delle sfumature significative. Il presidente veneto, che resta il più popolare tra gli amministratori leghisti, marca il confine tra l’orizzonte dei territori e l’impronta nazionalista che oggi domina il partito.

Salvini, che punta a superare nuovamente la soglia psicologica del 10% e riprendersi il secondo posto in coalizione, tenta la strada di galvanizzare l’elettorato più sensibile ai temi della sovranità, della difesa dei confini e della protesta fiscale. Ecco perché ieri, nello stesso Consiglio federale, la Lega ha ribadito con forza la centralità della pace fiscale. Non solo come cavallo di battaglia simbolico, ma come obiettivo “concreto e irrinunciabile” — così lo definisce il comunicato diffuso a margine — sul quale Salvini e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti hanno ricevuto mandato pieno per trattare con gli alleati. Una mossa che ha il sapore di un pressing diretto su Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia, da mesi impegnata a costruire un’immagine di responsabilità e affidabilità internazionale, ha mostrato cautela su questo terreno. Ma per Salvini, in affanno nei sondaggi e alla costante ricerca di visibilità, la pace fiscale è una bandiera identitaria da sventolare a ogni costo. «L’obiettivo è tutelare chi ha ricevuto delle cartelle pur essendo in buona fede», chiarisce la Lega, specificando che «non ci sarà tolleranza per i grandi evasori».

Un equilibrio retorico difficile da mantenere, soprattutto nella perpetua campagna elettorale italiana in cui ogni messaggio viene estremizzato. Di certo con le nomine di oggi, Salvini conferma la volontà di blindare la sua leadership attorno a un progetto politico in cui la parola “autonomia” conviva con sovranità, secondo una scommessa politica illustrata all'ultimo congresso, convinto che la battaglia si giochi sul terreno del consenso, non su quello della coerenza ideologica. Il volto più funzionale all'obiettivo, secondo il leader del Carroccio è quello di Vannacci, e su questo all'interno del partito ci sono ancora ampie sacche di scetticismo.