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ENRICO COSTA POLITICO
Poco prima della chiusura estiva è finalmente iniziata nella Commissione giustizia della Camera la discussione di una proposta di legge in materia di pubblicità delle sentenze di assoluzione o proscioglimento. A presentarla, addirittura nel novembre 2022, era stato il deputato di Forza Italia Enrico Costa.
La pdl punta a potenziare le attribuzioni del Garante per la protezione dei dati personali affinché possa intervenire entro 48 ore se il direttore o il responsabile di una testata giornalistica, radiofonica, televisiva o online non dia notizia della sentenza assolutoria o di proscioglimento su richiesta dell’interessato nello stesso modo in cui è stata data notizia dell’indagine.
Come è noto siamo abituati a vedere sparate in prima pagina o in prime time le notizie su arresti e indagini ma quando poi quelle stesse persone coinvolte vengono riconosciute innocenti dalla giustizia accade che o si ignori la notizia o le si attribuisca un trafiletto. E allora l’azzurro tenta di rimediare allo sbilanciamento apportando appunto una modifica al codice in materia di protezione dei dati personali, obbligando le testate ad intervenire su sollecitazione dell'Autorità garante.
Del resto, come si legge nella relazione nel provvedimento, «la Corte di cassazione, fin dal 2012, con la nota sentenza n. 5525, ha affermato che “le notizie di cronaca giudiziaria non possono prescindere dall’essere aggiornate rispetto alla successiva evoluzione, altrimenti la notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera”».
In realtà anche il nuovo codice deontologico dei giornalisti cerca di fare dei passi avanti in tal senso. Infatti all’articolo 24 (Cronaca giudiziaria) si prevede che il giornalista «in caso di assoluzione o proscioglimento, non appena informato, ne dà notizia con appropriato rilievo e adeguata tempestività». Mentre il vecchio articolo 8 prescriveva che negli stessi casi si sarebbe data «notizia sempre con appropriato rilievo» aggiornando «quanto pubblicato precedentemente, in special modo per quanto riguarda le testate online».
Insomma, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti tenta di disciplinare meglio la questione anche perché era stato lo stesso Garante per la protezione dei dati personali a rilevare, nella sua relazione sull’attività svolta nell’anno 2020, che in materia «siano state frequentemente riscontrate condotte palesemente illecite o verosimilmente tali».
Proprio per questo in Parlamento si cerca di assicurare, visto le inadempienze passate, che veramente si rispetti il diritto affinché ad un indagato prosciolto o imputato assolto venga restituita pubblicamente la reputazione persa a cusa di un provvedimento giudiziario. Abbinata alla proposta Costa, c’è pure quella della deputata leghista Simonetta Matone che, presentata a marzo di quest’anno, ha lo stesso obiettivo di quella del suo collega di Commissione ma aggiunge un passaggio in più: in base al comma 3 della pdl, se il «fornitore del servizio» (nella pdl non si specifica esattamente chi sia nel dettaglio) non si conforma entro 30 giorni alla richiesta dell’assolto «sarà passibile di sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10 milioni di euro», secondo quanto previsto dal Regolamento europeo per la protezione dei dati.
Infine, la proposta della Matone ipotizza anche la facoltà «di non rendere visibile ai motori di ricerca e sulla rete internet le informazioni sulla pregressa condizione giuridica di imputato o indagato né i dati personali riportati nei provvedimenti giudiziari, una volta intervenuto un provvedimento a lui favorevole». Stiamo parlando del cosiddetto diritto all’oblio: era stato sancito, sempre su input dell’onorevole Costa, grazie ad un emendamento approvato alla “riforma Cartabia” del 2022 per cui in calce ad una sentenza si può scrivere, su richiesta dell’interessato, che i motori di ricerca dissocino i nomi degli assolti dalle notizie circolanti in rete sulle inchieste da cui sono risultati innocenti.
E però: «La problematica – si legge nella relazione della seconda pdl – non sussisterebbe, se non fosse per l’accessibilità degli archivi informatici e per la pervasività della cronaca giudiziaria nei mezzi di informazione tradizionali e in rete. Ciascuno, infatti, può chiedere e ottenere, ragionevolmente, la rimozione dei propri dati al titolare del trattamento, ad esempio, un quotidiano; ma non per questo il suo nome verrà “cancellato” dai motori di ricerca e dai risultati a questo associati, come, per esempio, articoli o servizi giornalistici». Da qui la nuova pdl, la cui discussione riprenderà a settembre.