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GIUSEPPE CONTE M5S CHIARA APPENDINO M5S
Chiara Appendino ha ragione nella sostanza delle sue critiche ma ha scelto malissimo il momento in cui esporle. Comunque Giuseppe Conte deve tenersela cara e molto stretta perché dà voce a un malessere diffuso tra gli elettori del Movimento.
Parola di Marco Travaglio, che nei ranghi pentastellati non è un giornalista molto stimato e molto ascoltato: è quanto di più vicino a un ideologo il Movimento disponga, è il solo ad avvicinarsi, pur se formalmente dall'esterno, all'autorevolezza che permetteva a Grillo di essere "il Garante".
Travaglio, sia chiaro, sta con Conte ed è del resto sempre stato, con il suo giornale che per il Movimento è un house organ, uno dei principali punti di forza dell'avvocato. Lo apprezza proprio perché, almeno secondo lui, a livello nazionale fa quello che Chiara chiede: non si appiattisce sul Pd e anzi, sulle questioni davvero rilevanti, «si distingue» dall'intesa inconfessata che ci sarebbe invece tra governo e Pd stesso. Ma l'ex sindaca di Torino ha ragione lo stesso perché nei territori, in primo luogo nelle elezioni amministrative e regionali, il Movimento non si smarca abbastanza dalle realtà in cui domina «il peggior Pd».
Certo, momento peggiore per evidenziare la spaccatura non poteva esserci, constata Travaglio alludendo alle elezioni in Campania, quelle dove non solo il M5S ma anche Elly e il Campo largo si giocano tutto. La vittoria di Fico è probabile ma non certissima e una sconfitta significherebbe fare terra spianata di tutto quanto costruito da Schlein e Conte negli ultimi tre anni.
La constatazione è meno ovvia di quanto possa apparire. In Campania la partita è resa pericolosa da diversi fattori, a partire dal fatto che De Luca sembra giocare su due tavoli perché lui sostiene Fico ma un congruo numero di suoi fedeli, una ventina di sindaci inclusa, è passata invece alla destra.
Ma tra gli elementi che determinano il rischio per Fico c'è in primo luogo il prezzo che il Pd ha dovuto pagare al cacicco per il suo indispensabile appoggio, e si tratterebbe di assessorati tanto pesanti da fare del presidente Fico un governatore più di facciata che di sostanza e c'è il comprensibile disagio della base pentastellata nel trovarsi a braccetto con De Luca e Clemente Mastella.
Insomma, proprio perché la sua critica è fondata e condivisa da una parte sostanziosa dell'elettorato a cinque stelle, Appendino avrebbe dovuto evitare di mettere il dito nella piaga proprio alla vigilia di un voto minacciato proprio da quella piaga.
Naturalmente il direttore del Fatto ha tutte le ragioni nel consigliare a Conte di tenersi la ribelle ben stretta: la sua riottosa presenza serve anche a conservare l'elettorato meno convinto dal nuovo corso del Movimento. Il problema però è altrove: se sui nodi fondamentali non c’è differenza tra il governo di centrodestra e il Pd, come sostiene Travaglio e come probabilmente pensa l'ala purista e ancora "grillina" dell'elettorato a cinque stelle, non si capisce bene su quali basi poggi l'alleanza. La risposta probabilmente è quella data qualche settimana fa dallo stesso Conte: «Condividiamo il progetto di mandare via Giorgia Meloni».
A conti fatti, la vera carta vincente della destra è proprio la sostanziale omogeneità sui temi di fondo. Si prendano le risse sulla manovra di questi giorni. Sono aspre ma non c'è motivo di pensare che, se le tasche lo permettessero, l'accordo non sarebbe invece pieno. Nessuno a destra vorrebbe una tassa sui B&B e nessuno chiederebbe contributi alle banche. È l’obbligo di far quadrare il bilancio che forza divisioni altrimenti inesistenti. Certo si tratta di un problema serio ma non paragonabile a quello che si crea quando il disaccordo è di principio e non provocato dalle circostanze. O quando come nel caso dei rapporti tra base 5S e Pd il rifiuto è più antropologico che politico in senso stretto.
L'opzione illustrata con quella formula secca e forse troppo sincera da Conte, ma che trapela anche dal ragionamento di Travaglio, è semplice: prima si batte la destra, poi ce la vediamo tra noi sulle scelte politiche da imporre. Solo che di questo passo il "poi" potrebbe non arrivare mai.