Vocazione maggioritaria; bipolarismo, tripolarismo. Sembra di sentire risuonare nelle orecchie il vecchio “un, due, tre... stella”: quel gioco da bambini dove uno, girato di spalle, si copre gli occhi e gli altri corrono. Poi quando li riapre, tutti devono bloccarsi pena il ritorno alla linea di partenza. Un, due, tre... stella, e il dibattito politico assume tratti surreali. Come quando il premier in carica, bulimico di esternazioni, improvvisamente tace e le sue labbra chiuse sigillano anche i dossier più scottanti, quelli sui quali non ci si dovrebbe dormire la notte: Brexit, banche, risparmio, immigrazione, terrorismo. Altro che silenzio.Un, due, tre... stella. E così il confronto tra le forze politiche si incentra - anzi si blocca: come nel gioco - sulla riforma elettorale, alias modifica dell’Italicum: legge che, pure, formalmente non è sul tappeto visto che il nuovo sistema è entrato in vigore da 23 giorni appena, non è stato mai testato e nessun elettore verrà mai chiamato ad esprimersi su di esso. Un, due, tre... stella. Eppure tutto ruota attorno al meccanismo che ripartisce i seggi, compreso (anzi sopratuttto: in tanti ne fanno una questione dirimente) l’orientamento finale sul voto referendario. Ingenuo chiedersi perché. Infatti la legge elettorale, quella sì, è la madre di tutte le regole del gioco. Per il semplice motivo che definisce la vita o la morte, la nascita o il funerale di interi aggregati politici e degli uomini che le incarnano.Solo che mai come stavolta la questione è presa per il verso sbagliato. Partito della Nazione, bipolarismo, tripartitismo: un, due, tre... stella, appunto. Non è giocando sui nominalismi che si troverà la soluzione. Al contrario, come si sarebbe detto nelle fumose e spesso inconcludenti discussioni degli anni’70 ma stavolta a ragione, la questione è tutta e solo politica.Chi in un modo chi nell’altro, infatti, le proposte di cambiamento dell’Italicum che si affastellano alla Camera e sui giornali hanno in comune un dato: la cancellazione o la riduzione ai minimi termini del ballottaggio, quel doppio turno che per decenni la sinistra ha invocato come manna scrutando con invidia di qua e di là, comunque oltre le Alpi. Ebbene la spinta per tanto fervore depennatorio è sostanzialmente riconducibile ad una sola ragione, a volte esplicitata e altre subdolamente sottaciuta: cioè che per come sono i rapporti di forza nel Paese adesso, e alla luce dell’esperienza delle ultime Amministrative, il duello alle politiche avrebbe due soli protagonisti: Pd da una parte, Cinquestelle dall’altra, e un esito scontato con la vittoria - che potrebbe anche assumere i tratti del trionfo, come accaduto a Roma - dei secondi sul primo in virtù dell’appoggio (poco importa se richiesto o meno, negoziato o spontaneo) del centrodestra a Grillo nonostante il lessico berlusconiano l’abbia considerato di volta in volta «un pazzo»; «un pericolo assoluto per il Paese»; «il capo di un banda di balordi»; per planare su quel «pericoloso come «Hitler» che in teoria dovrebbe chiudere ogni discorso. E invece no: in odio a Matteo Renzi, pur di non veder rimanere in sella l’attuale presidente del Consiglio, il voto moderato (?) va dove lo porta il cuore. E precisamente a fianco del comico diventato politico, ritornato comico, poi ripiombato politico e via proseguendo di piroetta in piroetta. Ma a favore di Renzi proprio no, quello mai.Di qui un allarme rosso che ha coinvolto leader politici vecchi e nuovi e perfino altissime ex figure istituzionali. Unite da una sola preoccupazione: bisogna cambiare l’Italicum per evitare che i grillini espugnino il Palazzo. Colgono nel segno? Insomma: fanno bene?Vediamo. A onor del vero, l’unico che - presumibilmente perche l’Italicum l’ha proposto e limato fino all’ultimo - ha fatto spallucce è stato proprio Renzi. Grillo (o Di Maio o chi per lui) con le regole appena scritte rischiano di vincere? «Beh è la democrazia signori», è stata la risposta del capo del governo. Inoppugnabile. Su tutti gli altri, bisogna invece fare una riflessione. E magari anche più di una.Cominciamo. In primo luogo, cambiare un meccanismo per motivi strumentali, perché non torna utile, non è una grande idea. Nè dal punto di vista democratico nè da quello della convenienza. Come pure mettere a punto intelaiature “contro”. E’ già successo con il Porcellum, architettato ad hoc nel 2006 per impedire la vittoria dell’Unione di Prodi. Il risultato, seppure di un soffio, fu il contrario.Poi, come già detto, la questione è politica, non di ingegneria elettorale. Se il secondo e terzo classificato nel ballottaggio si uniscono per sconfiggere il primo, il quesito dev’essere capire come mai questo accade e quali strategie, appunto politiche, mettere in campo per spezzare la tenaglia. Non inventarsi un marchingegno, un trucco, un arzigogolo per fare in modo che la partita elettorale abbia un vincitore preliminarmente designato. Anche perché poi la gente quei trucchi non li gradisce e finisce per far vincere comunque gli altri.Fuor di metafora. Renzi ha sbaragliato alle Europee gli avversari perché ha assemblato su di sè non solo i voti tradizionalmente di sinistra ma anche una parte di quelli di centrodestra. Se ora quella calamita non funziona più (o funziona molto meo) e sono i Cinquestelle ad attirare quei consensi, l’antitodo deve essere politico non tecnico. Precisamente inaridire, se ci si riesce, la fonte che consente ai grillini di diventare “centrali” riuscendo ad attirare voti sia di destra che di sinistra. Deve essere l’offerta politica e di governo di Palazzo Chigi a tornare trainante: altre strade sono velleitarie e perdenti. In Francia, tanto per fare un esempio, al contrario che in Italia il ballottaggio è considerato l’irrinunciabile baluardo per fermare il Front National di Marine Le Pen. Che infatti alle Amministrative nel primo turno ottiene ottimi risultati ma nel secondo non vince neanche in un dipartimento. Insomma non è il doppio turno il problema: il problema è l’incapacità politica di attirare adesioni allargando i confini del proprio partito, nel caso anche con voti di altri schieramenti. Idem per il passaggio del premio di maggioranza dalla lista alla coalizione. Anche qui l’obiettivo sono i Cinquestelle che, poiché non si coalizzano, possono essere sconfitti da chi lo fa. Senza ricordare quanto l’esperienza ha dimostrato: ossia che le coalizioni, sia di centrodestra che di centrosinistra, sono cemento primadell’apertura delle urne. Per sfarinarsi praticamente subito dopo.In sintesi. L’Italicum ha parecchi difetti, a partire dalle liste bloccate. Se è necessario cambiarlo, ok. Prima o dopo il referendum si vedrà, a seconda se ne saranno o no le condizioni. Ma immaginare che i voti arrivino in virtù di una sistematizzazione tecnica invece che di una capacità di convincimento politico degli elettoririschia di essere un tremendo abbaglio.