Finirà che la Regione Liguria, investita da una bufera giudiziaria che ha travolto il governatore Giovanni Toti, oltre a tutto macchiato da una singolare inchiesta di mafia, tornerà alla sinistra. Perché così è sempre successo, anche a parti politiche invertite. Non si illuda quell’esponente locale di Fratelli d’Italia che ha già parlato di dimissioni del governatore ed elezioni anticipate. Di fronte alle inchieste giudiziarie i cittadini elettori non sono garantisti. Si voltano dall’altra parte senza operare troppi distinguo. Lo sa bene Giovanni Toti, che si è limitato finora all’autosospensione, come previsto dalla legge Severino in caso di arresto. Al suo posto, provvisoriamente, il suo vice Alessandro Piana. Molta prudenza, nella giornata di ieri, nel mondo politico. Dove pare rimasto proprio solo, l’avvocato Giuseppe Conte, dopo gli arresti, a dire che “c’è un problema di questione morale” e la politica deve rigenerarsi. Per il resto, è tutto un coro di “siamo garantisti”, nella giornata in cui anche il Pd ha i suoi problemi con la mozione di sfiducia in Regione Puglia nei confronti del presidente Michele Emiliano. E tanti non detto sulle sue battute inopportune e su fughe di notizie con dimissioni preveggenti. Ma soprattutto fischiano le orecchie alle vittime precedenti di cambi di governo politico in Regioni governate dalla sinistra, in seguito a inchieste giudiziarie. Catiuscia Marini, Marcello Pittella e Mario Oliverio, che hanno lasciato le presidenze rispettivamente delle regioni Umbria, Basilicata e Calabria al governo del centrodestra, prima indagati e poi prosciolti o assolti. Prudenza, dunque. Anche perché l’inchiesta ligure, nata a La Spezia e conclusasi con due provvedimenti cautelari, di cui uno a Genova, addirittura negli uffici della Direzione distrettuale antimafia, suggerisce domande non di poco conto.

I tempi, prima di tutto. Indagini che si sono sviluppate nel corso di quattro anni, con intercettazioni e pedinamenti. Nata come inchiesta di “corruzione elettorale”, come scrivono gli uffici della procura “antimafia” di Genova nel comunicato stampa, ma che poi si è estesa. Quattro anni che comprendono la campagna elettorale del settembre 2020 che ha rieletto Giovanni Toti alla presidenza della Regione Liguria. Il che significa che dal giorno successivo il governatore e tutta la sua attività amministrativa e politica sono stati seguiti passo passo da una sorta di Grande Fratello della guardia di finanza che ne ha spiato e conosciuto ogni atto. Il che fa rabbrividire. Un po’ come se si individuasse la persona da colpire, per poi andare a vedere se commette qualche reato e cercare di pescarlo con le mani nel sacco. È tutto strano, perché la misura cautelare degli arresti domiciliari cui è stato sottoposto Giovanni Toti è motivata non da corruzione elettorale, ma da “corruzione per l’esercizio della funzione” e “atti contrari ai doveri d’ufficio”. Cioè un po’ quel che succede in genere agli amministratori. Il proprio comitato elettorale riceve finanziamenti, spesso da imprenditori. La prima domanda è: erano leciti quei versamenti? La procura, ed evidentemente anche il gip, dicono di no. Toti dirà sicuramente di si, probabilmente ricorrerà al tribunale del riesame per dimostrarlo in una sede superiore. Ma quel che succede dopo l’elezione è la parte che in genere le procure e la guardia di finanza ritengono più sospetta. Perché qualunque attività di quegli imprenditori che abbia un legame con l’apparato pubblico viene guardato con sospetto. Il problema è se c’è stata una sorta di voto di scambio, ti do il voto e mi dai l’appalto, per esempio. Ma è successo? E qui nasce un altro problema legato ai tempi e alle modalità di questa inchiesta. Che purtroppo pare uguale alle tante altre che poi hanno portato all’assoluzione dei colleghi di Toti. Perché dopo quattro anni, per esempio, non si è proceduto a un interrogatorio di garanzia, come suggerisce lo stesso ministro Nordio, che pure è un ex procuratore, prima di arrestare? E poi: perché cinque mesi tra la richiesta delle misure cautelati del pm a dicembre e la decisione del gip a maggio? Tutti i virtuosi del “sono garantista” dicono che la lentezza è sintomo di prudenza. Giusto, ma perché una gip così prudente ha scelto di tirare la bomba in mezzo alla campagna elettorale delle elezioni europee? Se c’era il rischio che Giovanni Toti potesse inquinare le prove o ripetere il reato, perché aspettare? O al contrario, che cosa sarebbe cambiato se la gip avesse atteso un mese in più e avesse deposto la propria ordinanza dopo le europee, in un mare più sereno e lontano da competizioni elettorali?

Poi c’è da dire quanto sorprendente sia la contestazione dell’aggravante di mafia nei confronti del capo di gabinetto del governatore, Matteo Cozzani, e di alcuni siciliani di una piccola comunità genovese di Riesi, dove esiste, o meglio esisteva, perché gli esponenti sono tutti in carcere al regime di 41-bis, la cosca Cammarata. I cui parenti e discendenti sarebbero scappati in Liguria all’inizio degli anni novanta (stiamo parlando di vent’anni fa) per sfuggire alla guerra di mafia che si era sviluppata allora in provincia di Caltanissetta. Matteo Cozzani , che avrebbe procurato 400 voti della piccola comunità rietina, è agli arresti domiciliari per corruzione elettorale aggravata dall’associazione mafiosa. Ma nei confronti dei suoi “complici”, cioè i rietini naturalizzati liguri, quindi coloro che avrebbero portato il braccio destro di Toti nelle mani della mafia, la gip di Genova ha disposto misure cautelati “minori”, due obblighi di dimora e un obbligo di presentazione periodica alla polizia giudiziaria. E poi perché i voti dei siciliani devono essere per forza espressione di Cosa Nostra? Il rischio del gran polverone è dietro la porta. Due inchieste di diversi uffici giudiziari accorpate da altrettante ordinanze di due gip. La corruzione elettorale degli anni passati, mescolata all’attività amministrativa della regione Liguria e a quella del porto. E quel sospetto di aver rafforzato l’attività di una Cosa Nostra che non esiste più neppure in Sicilia. Un’inchiesta-monstre che difficilmente potrà scrollarsi di dosso il sospetto che ci si trovi davanti alla solita operazione clamorosa e pre-elettorale destinata a finire in fumo dopo aver determinato il capovolgimento politico del governo di una Regione.