Dopo undici anni segnati da un pontificato spesso scomodo per i governi sovranisti, l’elezione di Leone XIV ha concesso un momento di ottimismo, almeno in apparenza, a quelle cancellerie europee (quella italiana in primis) preoccupate che il Vaticano possa continuare a ergersi come contrappeso morale all’ “argine” politico dell’immigrazione. E se l’eco delle parole di Francesco a Lampedusa sulla «globalizzazione dell’indifferenza» continua a riecheggiare nelle orecchie degli esponenti della maggioranza, la sensazione nel centrodestra è che il nuovo Papa, pur senza rinunciare all’universalismo cristiano, sceglierà un lessico più felpato, più ecclesiale, meno “militante” di quello bergogliano.

Il che non dispiacerebbe affatto al governo Meloni. La quale non lo ammetterà mai, ma conta che le attenzioni di Prevost possano rivolgersi più marcatamente agli atti politici della “nativa” amministrazione americana.

Nato e cresciuto nel cuore della diplomazia vaticana, Leone XIV non ha mai fatto mistero di considerare l’accoglienza un dovere evangelico, ma ha sempre evitato di impugnare la questione migratoria come una clava. I suoi interventi degli anni scorsi, ripescati da tutti i giornali nelle ultime 24 ore, sono stati ovviamente orientati verso l'accoglienza e l'inclusione evangelica ma hanno mantenuto costantemente un equilibrio: compassione senza proclami, giustizia senza aggettivi.

A differenza di Francesco, che aveva scelto di fare della vicinanza agli ultimi una cifra visibile e in un certo senso “scandalosa” del suo papato. Si può ipotizzare che il nuovo Pontefice, noto in Curia per le sue doti da mediatore e scelto verosimilmente per queste, si muoverà con cautela, temendo che ogni sua parola possa incendiare il dibattito politico, compreso quello italiano.

Nella sua lettera di felicitazioni, la premier Giorgia Meloni ha parlato di «Stato e Chiesa distinti» ma che «si rispettano reciprocamente e crescono insieme», nella consapevolezza che su alcuni temi – il Mediterraneo, il diritto d’asilo, la gestione delle frontiere – le posizioni non potranno mai coincidere. Siccome la forma è importante, il fatto che risulti difficile ipotizzare per Prevost omelie a braccio al vetriolo, o ancora atti di rottura nei confronti del “sistema”, è un motivo di sollievo per l’esecutivo Meloni rispetto al predecessore: meno diretto, più interno alla logica curiale, più attento a non varcare la soglia della diplomazia. E in un tempo in cui ogni frase può diventare un titolo di giornale o uno slogan contro il governo, la prudenza del nuovo Papa è letta - è proprio il caso di dirlo - come una benedizione. Certo, anche Leone XIV, da cardinale, ha ricordato «le vite spezzate in mare» e chiesto «politiche giuste e umane» per chi fugge da guerra e miseria. Ma lo ha fatto con toni morbidi, liturgici, senza attacchi né accuse. Una linea che rassicura chi, nella destra italiana, si è abituato a vedere con Papa Francesco nella Chiesa un interlocutore talvolta scomodo e troppo schierato. Una sensazione che forse sarebbe stata ancor più forte con un Pontefice italiano, naturalmente più a conoscenza del dibattito politico tricolore, in particolare se fosse stato il presidente della Cei Matteo Zuppi, che non ha mancato di intervenire su argomenti squisitamente politici come il premierato e l'autonomia.

A Palazzo Chigi, in soldoni si spera che Leone XIV parli di misericordia, ma senza mettere in discussione l'impostazione securitaria su cui si regge il consenso del centrodestra.

Del resto, anche a livello internazionale, Prevost ha ribadito il ruolo dell’Europa come «comunità di popoli solidali», senza attacchi frontali, optando per un linguaggio che consente di mantenere il dialogo anche coi governi più intransigenti. Insomma, un esercizio di equilibrio che somiglia più alla vecchia Ostpolitik vaticana che alla pastorale dei poveri propugnata da Francesco. Se il suo successore tenesse fede a queste premesse, per Giorgia Meloni sarebbe un problema in meno, anche perché in passato si è visto che il suoi principale concorrente a destra, vale a dire il leader leghista Matteo Salvini, non ha avuto problemi a schierare il proprio partito contro alcune prese di posizione del Vaticano, strada che un Capo di governo difficilmente può praticare.