Sangiuliano getta la spugna. Affida le «dimissioni irrevocabili» a una lettera nella quale spiega che il lavoro di un ministro «non può essere macchiato da gossip» e che l’interesse delle istituzioni è al di sopra di quello dei singoli. Ringrazia Meloni per l’appoggio datogli, afferma di desiderare «tranquillità per stare accanto a mia moglie», ma allo stesso tempo promette vendetta: «Andrò fino in fondo per verificare se alla vicenda abbiano concorso interessi diversi e agirò contro chi ha pubblicato fake news». Meloni era pronta, aveva già deciso da giorni con chi sostituirlo in tempi record in modo da evitare la trappola del rimpasto. Alessandro Giuli, giornalista, direttore del Maxi ha giurato già ieri sera.

A far precipitare la situazione è uno scarno annuncio: quello con cui la 7 dà notizia di un’intervista serale a Maria Rosaria Boccia nel corso di In Onda, il programma di Luca telese e Marianna Aprile che in tv è stato il più solerte nel seguire in caso. È un annuncio che Chigi paventava già dal giorno precedente, tanto che si era parlato subito di possibili dimissioni per disinnescare le eventuali rivelazioni della «imprenditrice da vent’anni». Decisiva è una ulteriore considerazione, ipotetica sì ma solo per modo di dire. Il martellamento quotidiano della non consulente non sembra destinato a fermarsi con l’intervista a Telese e Aprile. Il boato più fragoroso potrebbe arrivare in pieno G7, temono la premier e i suoi collaboratori più stretti.

A strettissimo giro partono le telefonate dalla presidenza del Consiglio al ministero della Cultura. La richiesta è secca: dimettiti. Ma è anche inconfessabile. La liturgia richiede che in apparenza sia Sangiuliano stesso a fare da solo la sofferta scelta. Il suo avvocato del resto lo spinge in quella direzione: «Con le dimissioni recuperebbe la sua libertà». Un po’ a sorpresa però Sangiuliano prova a resistere. In mattinata aveva ribadito l’intenzione di non dimettersi. Nelle 48 ore precedenti dal ministero erano partiti comunicati a raffica, letteralmente su tutto, con il chiaro scopo di dimostrare che il ministro era ancora nel pieno delle sue funzioni. Con il suo legale Sangiuliano aveva già preparato la denuncia contro l’ex amante, tuttavia non ancora inoltrata. In compenso era la Corte dei Conti a far sapere di star valutando i fatti nella prospettiva di un’indagine per danno erariale. Il ministro applaudiva: «Benissimo, così chiarirò tutto». Segnali univoci: intendeva resistere, ma la peraltro esile resistenza si è sgretolata rapidamente. Non ci sarebbe comunque riuscito a lungo. A Chigi, anche prima del ferale comunicato della 7, lo davano comunque per spacciato subito dopo il G7 della Cultura. La situazione andava sempre più precipitando e non per colpa del solo ministro. Ieri, di buon mattino, i cronisti avevano ricevuto una comunicazione da Chigi: la premier non avrebbe presenziato come previsto al G7 dei Parlamenti a Verona, limitandosi a inviare un videomessaggio. Il perché della defezione non c’era neppure bisogno di specificarlo: evitare domande scomode sul caso che incatena l’attenzione degli italiani quotidianamente in attesa della nuova puntata dell’imbarazzante serial, che Boccia peraltro, solerte e disciplinata, non ha mai fatto mancare.

La premier non intendeva fuggire solo dall’appuntamento di Verona. Carezzava l’ipotesi di fare lo stesso a Cernobbio domenica prossima, soprattutto per non trovarsi poi costretta a seguire anche l’appuntamento successivo di Parigi. A Chigi sospettavano che le testate italiane avrebbero spedito un nugolo di cronisti con lo specifico incarico di interrogare la premier sulla nota vicenda. Non è che ci volesse Sherlock Holmes per arrivarci. La progettata fuga è stata silurata da Zelensky, ansioso di incontrare l’amica Giorgia. Ma il solo fatto che la premier abbia pensato di disertare un appuntamento internazionale per sottrarsi a domande sulla relazione pericolosa del suo ministro e della improbabile “imprenditrice” dice tutto sul livello raggiunto dal governo, e non solo dal ministro della Cultura, in questa disastrosa parabola. Di fatto un governo e la sua guida sono rimasti per giorni ostaggio di una illustre sconosciuta, delle sue velate minacce, delle sue accuse sempre pronunciate con estrema accortezza e mai suffragate da elementi concreti, dalla sua strategia micidiale fondata sul dire e non dire. Un disastro per l’immagine non solo di Gennaro Sangiuliano, ma per quella di tutto il governo e soprattutto di chi lo presiede.