In Ucraina si continua a morire. Questa mattina un attacco russo ha colpito un minibus civile nella regione di Sumy, al confine con la Russia. Nove le vittime, quattro i feriti. L'attacco, confermato dalle autorità locali, dimostra come la guerra resta lontana da una qualsiasi soluzione diplomatica.

Proprio sul piano della diplomazia, però, qualcosa si è mosso. A Istanbul si sono incontrate le delegazioni di Russia e Ucraina, per la prima volta dal febbraio 2022. Ma il bilancio dell'incontro è stato scarso: nessuna tregua, nessuna apertura concreta, soltanto uno scambio di prigionieri – mille per parte – utile solo per salvare la faccia dei partecipanti. I nuovi colloqui tra Russia e Ucraina potranno essere messi in agenda solo dopo che sarà completato lo scambio di prigionieri concordato ieri a Istanbul. A chiarirlo è stato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Nel faccia a faccia di ieri tra le delegazioni di Kiev e Mosca in Turchia è stato deciso lo scambio di 1.000 prigionieri per parte.

L'incontro si è svolto nel palazzo Dolmabahce, luogo simbolico dei primi mercati post-invasione. Ma i protagonisti principali erano assenti. Per Kiev era presente il ministro della Difesa Rustem Umerov. Per Mosca, Vladimir Medinsky, consigliere di secondo piano del Cremlino. Assente Vladimir Putin. Assente Volodymyr Zelenskyj. A fare da mediatore, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan.

Durato poco più di novanta minuti, il vertice si è chiuso con un nulla di fatto. La proposta russa è stata una provocazione: ritiro delle truppe ucraine da ampie aree ora riconquistate da Kiev. Una mossa giudicata irricevibile. Nessun passo avanti.

«La Russia ha avanzato condizioni inaccettabili, lontane da ogni base di dialogo precedente», ha fatto sapere una fonte ucraina. Ma Kiev ha scelto la calma. «Nessuna reazione emotiva», ha detto un portavoce, sottolineando come l'unica via percorribile sia quella di un incontro diretto tra Putin e Zelenskyj. «Solo i due leader possono parlare seriamente di pace».

Donald Trump, che continua a proporre sé stesso come mediatore globale, ha ribadito la sua disponibilità a favorire un confronto diretto.

Nel frattempo, da Tirana, dove Giorgia Meloni è arrivata per partecipare al sesto vertice della Comunità politica europea (Cpe), accolta, così come gli altri leader, dal primo ministro albanese Edi Rama, il quale si è inginocchiato al suo arrivo. A Tirana si è tenuto,però, anche il vertice dei Volenterosi con Zelenskyj che ha lanciato accuse pesanti. «Putin non è venuto perché ha paura della pace. Se fosse stato presente, oggi potremmo discutere di progressi reali».

Prprio il mancato invito di Giorgia Meloni al tavolo ristretto con Zelensky e i principali leader europei: Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Keir Starmer, Donald Tusk, sta alimentando la polemica politica. Al vertice erano presenti anche Ursula von der Leyen e Antonio Costa. L’Italia no.

Una decisione che ha scatenato reazioni dure a Roma. Palazzo Chigi parla di “scelta grave e ingiustificata”. Per il governo, l’Italia è uno dei principali sostenitori dell’Ucraina, sia in termini militari sia politici. Essere esclusi da un confronto così delicato e simbolico è stato letto come un chiaro segnale: l’Italia di Meloni viene considerata sempre più marginale nei dossier strategici.

Secondo fonti diplomatiche, la riunione a sei è stata pensata per consolidare un “asse centrale” nell’Unione Europea: Francia, Germania, Regno Unito e Polonia, con il supporto delle istituzioni comunitarie. Ma il messaggio è anche interno alla politica europea: Meloni è vista come un’interlocutrice ambigua. Troppo vicina a leader sovranisti, troppo distante dall’asse tradizionale Bruxelles-Parigi-Berlino.

Per Elly Schlein, l’esclusione è «il segno tangibile dell’isolamento internazionale della presidente del Consiglio». Secondo la segretaria del Pd, «Meloni paga le sue ambiguità. In Europa cerca rispetto, ma a casa governa con Salvini e flirta con Orban e Le Pen. Così l’Italia perde peso».

Giuseppe Conte parla di «sconfitta della diplomazia italiana». «Siamo sempre stati protagonisti nei grandi tavoli internazionali. Oggi Meloni ci ha portati fuori dai giochi. È un danno al Paese».

Più tagliente Carlo Calenda: «Chi si presenta in Europa come sovranista e poi pretende di sedere ai vertici, viene messo da parte. È una legge non scritta della politica estera. Meloni dovrebbe capirlo».

Non è da meno il leade di Italia Viva, Matteo Renzi, intervistato da La Stampa: «Nei momenti storici cruciali il nostro Paese è sempre stato presente, qualunque fosse il colore del presidente del Consiglio: c’era Mario Draghi, c’ero io, c’era Silvio Berlusconi». Adesso, prosegue, «con Meloni l’Italia non c’è: è stata retrocessa in serie B».

La maggioranza difende la premier, ma i malumori sono evidenti. Fratelli d’Italia accusa Parigi e Berlino di «atteggiamento ostile e miope». La Lega parla di «scelta arrogante». Forza Italia chiede chiarimenti a Bruxelles. Ma la realtà, per molti osservatori, è chiara: Giorgia Meloni paga l’ambiguità della sua posizione europea, schiacciata tra un sovranismo elettorale e la necessità di mostrarsi affidabile sul piano internazionale.

Nel frattempo, i lavori di Tirana hanno confermato la volontà dei Paesi europei di fare pressione su Mosca. «È inaccettabile che Putin ignori per la seconda volta le richieste di tregua avanzate da Stati Uniti, Europa e Ucraina», ha detto Emmanuel Macron. «Ora serve più determinazione».

Il prossimo passaggio sarà la redazione di due documenti separati: uno per parte. Russia e Ucraina dovranno formalizzare la loro proposta per fermare il fuoco. Solo dopo si potrà tornare a un tavolo di negoziato vero.

Ma le distanze restano enormi. E le divisioni tra i governi occidentali, sempre più evidenti, rischiano di rafforzare la posizione di Mosca. L'Europa cerca coesione, ma inciampa nelle sue stesse contraddizioni. L'Italia, nel frattempo, osserva da lontano un tavolo da cui è stata esclusa.