Altro che piano B, la mossa di proporre Mario Draghi alla guida dell'Ue, per Giorgia Meloni potrebbe rappresentare se non una panacea, la soluzione a molti dei problemi attuali. Per questo a Palazzo Chigi fanno sempre più fatica a nascondere la propria preferenza per un esito di questo tipo, rispetto allo schema che prevede un sostanziale via libera del bis di Ursula von der Leyen. In realtà, per la nostra presidente del Consiglio, lo scenario non è così complicato come qualcuno vuole farlo apparire: il rapporto con la presidente uscente è solido, e in questo ultimo anno e mezzo molte sono state le prove che tra le due si è instaurato un feeling che ha dato buoni frutti, a partire da dossier spinosi come i flussi migratori, la rinegoziazione del Pnrr e la politica estera comune dell'Unione, dove Meloni, grazie ai suoi buoni uffici col leader ungherese Viktor Orban, è riuscita nell'impresa di non far porre il veto a quest'ultimo sugli aiuti militari a Kiev. In linea teorica, dunque, la rielezione di Frau Ursula non sarebbe una cattiva notizia per il governo italiano. L'unica precauzione che la premier dovrà prendere nelle settimane che precedono e seguiranno il voto europeo, sarà quella di non esporsi troppo, evitando così di prestare il fianco alle critiche dell'asse sovranista continentale, che ha già cominciato a sparare a palle incatenate grazie all'accoppiata Le Pen- Salvini, nel tentativo di stanarla.

Argomenti per Meloni fastidiosi poiché non privi di efficacia, come visto con l'attacco della politica transalpina nella kermesse romana della Lega, ma che nel medio termine possono essere assorbiti senza troppi affanni, anche perché, come in ogni elezione celebrata col sistema proporzionale, i giochi si faranno quando i riflettori saranno già puntati altrove. In ogni modo, la candidatura in prima persona che la presidente del Consiglio dovrebbe annunciare per fine mese, dovrebbe servire anche a mitigare gli effetti dell'aggressività elettorale di Salvini e della pattuglia di Id. Ma c'è uno scenario ancor più favorevole alla premier, perché garantirebbe una tutela ancor più efficace degli interessi italiani in Europa e spazzerebbe via dal tavolo anche l'imbarazzo politico nei confronti di Salvini e della Le Pen. Portare Draghi a Bruxelles, dunque. Il primo beneficio sarebbe fin troppo ovvio: con un italiano al timone della Commissione è lecito sperare in maggiore flessibilità nelle richieste di rientro del deficit nei parametri del nuovo Patto di Stabilità, dopo gli sforamenti dell'era Covid, così come non sarebbe velleitario sperare in una proroga dei termini del Pnrr. C'è però un elemento che sta guadagnando sempre più appeal nei confronti di Giorgia Meloni, che risolverebbe i problemi di posizionamento politico all'interno del centrodestra, e anzi ne creerebbe al principale alleato Matteo Salvini: la Lega non potrebbe usare nei confronti di Mario Draghi gli stessi argomenti dialettici che ora sta utilizzando per screditare Ursula von der Leyen e i suoi alleati. Primo, perché Draghi, da numero uno della Bce, col celeberrimo “bazooka” ha salvato il nostro paese dagli attacchi speculativi e da questo punto di vista è inattaccabile, secondo perché Salvini ha già sostenuto un esecutivo guidato da Draghi.

Il segretario del Carroccio, dunque, si troverebbe nella scomoda posizione di dover attaccare la premier perché questa sostiene la candidatura di una figura alla quale lui ha votato la fiducia nel suo paese, in un governo che ha più volte definito di “unità nazionale” ma che in realtà aveva all'opposizione proprio Giorgia Meloni. Una situazione paradossale, nella quale Salvini criticherebbe Meloni per il sostegno a Draghi, dopo averla aspramente criticata a suo tempo per non aver appoggiato il suo esecutivo, preferendo lucrare elettoralmente sul fatto di avere le mani libere. Il problema, semmai, per la premier è capire se e quando farsi promotrice dell'” operazione Supermario” ed eventualmente scaricare Ursula.

Il tempismo, infatti, sarà molto importante per anticipare le mosse di Francia e Germania, che di certo non staranno a guardare, ma ad ogni possibile scenario manca, al momento, un elemento imprescindibile, e cioè il risultato delle elezioni.