Fin dal principio i radicali sapevano che la presenza di Marco si sarebbe fatta sentire in ogni singolo istante dei lavori congressuali. Però forse neppure chi come Rita Bernardini e Maurizio Turco era rimasto vicino al leader nei suoi ultimi giorni era preparato fino in fondo all'emozione vissuta nel primo giorno delle assise a Rebibbia. Un'intensità che raggiunge il suo momento più alto ogni qual volta ciascuna delle autorità chiamate a rivolgere il saluto - dal ministro della Giustizia Andrea Orlando al comandante delle guardie del penitenziario romano Massimo Cardilli - evoca il leader scomparso. In ognuno di quei momenti si avverte fino in fondo il peso di un'eredità e dell'obbligo di una missione da compiere ancora. «La vostra presenza nel Paese è essenziale», dice il guardasigilli alla fine del suo discorso d'introduzione. Un appello bellissimo. E nello stesso tempo raggelante. Perché rimanda fatalmente a una dolorosa lacerazione. È la divisione prevista, che emerge fin da questa prima giornata congressuale, soprattutto nelle parole di Turco. Che da tesoriere del Partito radicale attacca con assoluta durezza gli avversari, cioè i vertici di Radicali italiani, fino a chiedere loro di «restituire i soldi indebitamente trattenuti dalle iscrizioni». È uno strappo personale e politico insieme, che gli appelli alla «prosecuzione» di Orlando e di Santi Consolo non fanno che rendere ancora più doloroso.Vincere o lasciare, la minaccia di TurcoÈ questo il senso, forte, emozionante e nello stesso tempo appunto lacerante, che arriva dal primo dei tre giorni di assise del Partito radicale transnazionale. È il quarantesimo congresso, straordinario sia perché è il primo senza Pannella sia perché come ricorda Turco «è anche il primo non solo per noi radicali ad essere convocato per iniziativa degli iscritti». E come ormai risaputo è anche la prima assemblea di partito a tenersi entro il perimetro di un istituto di pena. Vero che, come ricorda il capo del Dap Consolo, l'evento è anche in «linea di continuità con gli Stati generali del carcere, a cui diversi dirigenti radicali hanno offerto un contributo di grande rilievo». Ma l'unicità del contesto contribuisce pure ad amplificare la claustrofobica idea della fine di un pezzo di storia. Lo dice in fondo con chiarezza Turco nel suo discorso, lungo e a suo modo definitivo: «Dobbiamo andare avanti con lo strumento che abbiamo, il partito della nonviolenza, transnazionale e transpartito: noi vorremmo continuare a preservare queste caratteristiche, possibilmente nel Partito radicale, altrimenti continueremo a tessere la tela fuori». Vuol dire che se domani saranno Magi e Cappato a vincere il congresso, lui, Turco, e gli altri che compongono quel noi, vale a dire Arconti, Bernardini, Zamparutti, D'Elia, Angioli, se ne andranno. Che non resteranno un minuto di più sulla stessa barca insieme con gli altri.Detenuti in platea, c'è anche Dell'UtriRiccardo Magi parlerà oggi. Risponderà con prevedibile durezza a tutti gli attacchi venuti da Turco, che a un certo punto rivolge al segretario di Radicali italiani, a Marco Cappato e agli avversari "politicisti" uno stentoreo «siete degli stronzi a esservi presentati qua». La sala dell'auditorium di Rebibbia è piena, il che non autorizza a dare per scontato nulla. Non è detto che a prevalere sia l'ala ultrapannelliana, che il congresso a Rebibbia l'ha voluto e organizzato. Ci sono anche una cinquantina di detenuti, una dozzina dei quali provenienti dalla sezione alta sicurezza. C'è un recluso che è difficile non notare, Marcello Dell'Utri, e politici che per il carcere ci sono passati come Ottaviano Del Turco e Totò Cuffaro. Mancano invece gli ergastolani che Sergio D'Elia aveva chiesto al Dap di ammettere, il che non impedisce a Orlando di dire che «tenere qui a Rebibbia il congresso era quasi un doveroso tributo alla battaglie di Marco Pannella». Ufficialmente fino alla prima serata ancora non risultano formalizzate né la candidatura di Turco né quella di Cappato, i due probabili contendenti. Non si hanno notizie su eventuali blitz congressuali di Giovanni Negri: l'ex segretario resta per ora aggrappato alla sua futuribile formazione dal nome salgariano, Marianna, che lancerà la propria sfida tra qualche mese, quando probabilmente a via di Torre Argentina saranno già consumate un paio di ere geologiche. Proprio la vecchia sede è uno dei simboli della disgregazione: «Ci sono problemi di agibilità, con le risorse delle iscrizioni a pacchetto non potremo più tenerla aperta», avverte Turco. L'attività politica di per sé, secondo l'attuale tesoriere, è diventata concretamente insostenibile. Eppure con velenoso sarcasmo il dirigente dice che lui, Bernardini e gli altri fedelissimi di Marco sono «qui contro chi ci accusa di voler chiudere il partito per continuare a fare lotte radicali». E certo, chi invece «ha la fregola di inseguire Renzi con il piattino in mano non sarà ostacolato da noi».Il futuro del partito, i dubbi di OrlandoL'aria appesantita dai risentimenti avrà forse sorpreso gli ospiti del congresso. Avrà certo colpito il ministro Orlando, che raccoglie una lunga serie di applausi fragorosi. Prima per il ricordo dei risultati raggiunti sulla condizione delle carceri «anche grazie alle contraddizioni segnalate dai radicali». Ancora, quando adombra l'avanzare di uno «stato di polizia europeo» come risposta all'emergenza migranti. Ma Orlando è a sua volta sorprendente nell'immedesimarsi in quel senso di irrimediabile fine della storia, quando «con franchezza» dice: «Non è scontato che tutte queste battaglie siano perseguite con la stessa forza che Marco Pannella vi ha saputo infondere». Anche se «di quel vigore rimane viva l'urgenza» e lui stesso, il guardasigilli, si impegna su due interventi legislativi connotati in senso chiaramente radicale: «Il reato di tortura e la legalizzazione delle droghe leggere», su cui pure evita di esprimere la propria posizione ma assicura che «ne verrà il superamento di alcuni tabù prima indiscutibili». Orlando si augura «una ripresa forte dell'iniziativa, un rafforzamento della voce dei radicali». Che di fronte alle «torsioni sicuritarie» in atto in Italia e in Europa sono particolarmente necessari. «Rompere il muro di silenzio non è possibile in Parlamento, lo si può fare solo nel Paese, ed è lì che la vostra presenza è essenziale». Tutto sta a vedere quali radicali continueranno ad esserci, almeno fuori dal Palazzo, e quanti invece prenderanno una strada irrimediabilmente diversa.