Sembra un deja-vu, e per certi versi lo è. Quello che è sicuro, è che dall'inizio della legislatura, fatta eccezione per qualche schermaglia tra Lega e Forza Italia su politica estera e cittadinanza, lo scontro più sostanziale e potenzialmente più pericoloso è quello che si sta riproponendo periodicamente tra il Carroccio e Fratelli d'Italia sulla possibilità di un terzo mandato per i governatori, caldeggiata dalla Lega e osteggiata dalla premier Giorgia Meloni.

Una questione con forti ripercussioni nazionali, visto l'appressarsi di un'altra importante tornata di elezioni regionali, tra cui quelle del Veneto di Luca Zaia, big leghista che non potrà più candidarsi. Il casus belli, stavolta, è arrivato dalla decisione del Consiglio dei ministri di impugnare (dopo aver fatto lo stesso con un analogo provvedimento della Regione Campania) la legge della Provincia autonoma di Trento (equiparabile ad una regione a statuto speciale, quanto a competenze e autonomia) sul terzo mandato approvata lo poco più di un mese fa.

Un articolo secco che modifica la legge elettorale provinciale del 2003 per consentire al presidente della Provincia (attualmente il leghista Fugatti) di ricandidarsi per la terza volta consecutiva. L'operazione - firmata dal capogruppo della Lega Mirko Bisesti - era nata nel solco della speciale autonomia trentina e col sostegno del centrodestra locale.

Ma ha fatto nuovamente vibrare una faglia già nota: la stessa che qualche mese fa aveva spaccato la maggioranza in commissione e in aula al Senato su un emendamento (sempre leghista) che se approvato avrebbe consentito di candidarsi per un terzo mandato. Lì, come ora, la linea di Fratelli d’Italia è rimasta rigida: no irremovibile. All’opposto, la Lega ha fatto quadrato intorno a Fugatti, puntando su una presunta inapplicabilità della sentenza della Consulta che ha già bocciato la legge gemella della Campania e che, secondo gli esponenti del Carroccio, si riferirebbe alle regioni a statuto ordinario.

Che il tema sia esplosivo lo dimostra il fuoco incrociato di dichiarazioni. «Un atto istituzionale pesante contro le prerogative dell’autonomia trentina», ha attaccato Fugatti, che nel frattempo prepara il terreno per la candidatura 2028. «È una decisione politica», aveva anticipato. E così è stato. L’impugnativa - che arriva dopo che due consiglieri FdI hanno votato contro la legge e altri due, favorevoli, hanno lasciato il partito - suona come una sconfessione diretta della Lega, che al Consiglio dei ministri aveva provato a evitarla. Salvini aveva garantito che l’intervento del governo non ci sarebbe stato.

Calderoli, ministro leghista agli Affari regionali, ha espresso le sue perplessità. Ma a decidere è stata Meloni, affiancata dai ministri di FdI e Forza Italia. Risultato: maggioranza spaccata anche a Palazzo Chigi. Il copione, insomma, si ripete. Ma questa volta lo strappo è ancora più rumoroso, perché si accompagna a una crisi politica conclamata anche in Friuli Venezia Giulia. Fedriga, altro big della Lega, rischia di trovarsi nella stessa situazione di Fugatti nei prossimi anni. E intanto fronteggia un governo regionale in stallo, con gli assessori (anche leghisti) dimissionari dopo le tensioni sull’ospedale di Pordenone e le polemiche innescate da Luca Ciriani, ministro meloniano e pordenonese doc.

Tutto slegato, giurano i leghisti, ma è difficile non cogliere il filo rosso che lega quello che sta accadendo in Friuli e in Trentino a quello che è accaduto a Roma, e che potrebbe accadere in Veneto. Tanto più che oggi, proprio a Venezia, si doveva tenere un incontro tra Meloni e Fedriga, senza Salvini. E in quel faccia a faccia sarebbe potuto emergere qualcosa in più sul futuro degli equilibri interni alla coalizione. La premier, però, ha annunciato di dover rinunciare a causa di uno stato febbrile.

Non è la prima volta che il Carroccio usa l’autonomia regionale come leva politica. Ma stavolta l’insistenza sul terzo mandato rischia di generare atti politici formali. Salvini cerca di minimizzare («Nessun problema, sono questioni locali») nel frattempo la tensione sale. E il centrosinistra affila i coltelli. «Il Cdm ha sancito la crisi della maggioranza», commenta Francesco Boccia del Pd. In gioco, insomma, non c’è solo il futuro dei singoli presidenti di Regione, ma i rapporti di potere all'interno del centrodestra.

Per Meloni il terzo mandato è un’occasione per ribadire l’egemonia e sbarrare la strada alle rendite di posizione leghiste. Per Salvini è una posta troppo alta per essere lasciata sul tavolo. La legge trentina, così, diventa l’ennesimo detonatore. E Venezia, oggi, rischia di essere solo l’inizio di una resa dei conti più ampia.