L' irruzione di Elly Schlein al centro della scena destinato a stravolgere la geografia politica italiana e lo sta già facendo. È un segno dei tempi che il terremoto non sia conseguenza di una svolta politica e fosse pure solo di dichiarazioni di un certo peso, come nel caso di Berlinguer, nel lontano 1973, con i famosi articoli sul compromesso storico, oppure, più recentemente, con l'incontro del Renzi allora appena eletto con Berlusconi. La nuova segretaria ha sin qui evitato anche solo una conferenza stampa. Le sue proposte principali erano in realtà tutte già note e già avanzate, salario minimo incluso, dal Pd. Sul fronte delle alleanze non si registrano differenze rilevanti rispetto al campo largo perseguito da Zingaretti e anche da Letta sino al luglio scorso, cioè sino all'ancora inspiegata offensiva contro il principale soggetto che avrebbe dovuto figurare in quel campo, il M5S.

Sarebbe tuttavia sbagliato affermare che l' “effetto Schlein”, al momento, si limita all'immagine, anche se quell'aspetto c'è ed è rilevante. In questo caso però c'è di più: sia per la sua eccentricità rispetto alle vecchie nomenklature che per le circostanze a dir poco inusuali del suo approdo al vertice del Nazareno, Schlein, come segnala giustamente Bertinotti, incarna già una domanda precisa che sale non solo dagli elettori del Pd ma dall'intera base reale e potenziale della sinistra politica. Se la nuova segretaria sarà in grado di rispondere alla domanda che lei stessa incarna è presto per dirlo. Ma che quella domanda ci sia e che sia imperiosa è invece già certo e ciò basta a spiegare il rivolgimento di quadro che la sua vittoria determina.

Sia il massiccio aumento dei tesseramenti, che è davvero impressionante, che il responso dei sondaggi, che vedono il partito di Elly tornare con un balzo olte il 20 per cento non permettono dubbi sulle profondità e vastità di quella domanda. Uno spostamento a sinistra del Pd, più o meno immediato e più o meno drastico, è dunque inevitabile e destinato forse ad andare oltre le previsioni, proprio perché indirizzato dal basso molto più, almeno per ora, che dal vertice. Il primo a farne le spese è stato Conte. L'avvocato aveva impostato la sua intera strategia comunicativa sull'occupazione dello spazio a sinistra, lasciato vacante da un Pd che si prevedeva sbilanciato con Bonaccini verso un centrismo venato di rosa.

All'improvviso Conte si trova sfidato proprio su quel terreno, con un Pd che mira a rioccupare d'impeto proprio quello spazio e senza dover pagare lo scotto delle molte giravolte dei 5S e del loro leader stesso negli ultimi anni. Le difficoltà di Conte sono palesi ma il dover fare i conti con una leader dell'opposizione come Schlein spiazza e mette in difficoltà anche Giorgia Meloni. Qui l'immagine ha un peso decisivo. La premier non è più l'incarnazione del nuovo, per l'età, perché donna, per lo stile comunicativo poco paludato, a fronte di leader invece “antichi”. Schlein la sfida al contrario sul suo stesso terreno, con molta minore esperienza, ed è un handicap, ma di conseguenza anche senza il lungo passato politico che rende la novità Meloni un po' meno dirompente. Ma anche senza limitarsi all'immagine, la nuova leader del Pd impone (o promette di imporre) una linea politica comunque molto più netta di quante il Pd ne abbia sinora contate. La scelta “moderata” che aveva fatto la premier nei suoi primi mesi di governo rischiava pertanto di apparire vecchia e deludente, troppo “centrista”, se paragonata a una controparte che sembra avere intenzione di abbandonare proprio il centrismo. Forse si spiega anche così la sterzata della presidente, tornata dalla conferenza di Cutro in poi a marcare la sua identità di destra: da una sorta di anti Salvini alla migliore alleata dello stesso Salvini.

Sarebbe tuttavia un errore sottovalutare la premier, come fanno in questi giorni molti commentatori scambiando i loro desideri per realtà. Meloni sconta l'assenza di un vero gruppo dirigente, guida una squadra da serie b ma personalmente è invece una politica astuta e abile, sia sul piano dell'immagine che delle scelte politiche. Lo ha dimostrato ieri al congresso della Cgil. Sino a poche settimane fa non aveva rivali. Ora ne ha una e particolarmente temibile perché in grado di riportare alle urne l'enorme massa di elettori di sinistra disaffezionati e delusi. Ma l'inquilina di palazzo Chigi ha a propria volta molte carte da giocare a proprio favore e ha già dimostrato di saperle usare. Quel che si può dire, oggi, è solo che dallo scontro dei prossimi anni tra due leader entrambe assolutamente anomale la politica italiana uscirà totalmente trasformata.