«Quello di ministro degli Esteri è un ruolo fra i più politici in Parlamento. Proporremo una persona che deve conoscere quel mondo e l’importanza della moderazione e della ponderazione delle parole. Una guida politica che possa rappresentare il nostro programma ma anche garantire continuità alle politiche del passato che condividiamo». A chi pensa Luigi Di Maio quando immagina il possibile capo della Farnesina in un governo a guida 5 Stelle? Visto l’identikit tracciato dal capo politico pentastellato verrebbe subito da escludere che il vice presidente della Camera fantastichi di affidare un ruolo così delicato - in cui risulta fondamentale la «moderazione» - a un grillino. Non resta che cercare il profilo giusto fuori dai partiti o tra i possibili alleati di governo. Perché dopo l’apertura a possibili intese parlamentari nulla è più impossibile in casa 5 Stelle, dove l’euroscetticismo e l’antiatlantismo hanno ceduto il posto alla ralpolitik responsabile. L’offerta della scrivania della Farnesina, dunque, potrebbe essere indirizzata a più destinatari: a sinistra come a destra. Ma le caratteristiche del futuro ministro descritte dal leader 5S corrispondono a pochi soggetti sul mercato.

Dentro Leu - una delle forze indicate indicate come potenziale alleato del M5S - c’è sicuramente un profilo con un curriculum altisonante: Massimo D’Alema, ex presidente del consiglio e, soprattutto, apprezzatissimo ex titolare degli Esteri. Cosa hanno in comune il “rottamato” da Renzi e il pretendente al “trono” di Gentiloni? Oltre alla naturale antipatia nei confronti del segretario del Pd, Massimo e Luigi potrebbero scoprire di avere un buon feeling internazionale. Il Di Maio 2.0, andato in scena ieri alla Link Campus University - presieduta da Vincenzo Scotti, più volte ministro democristiano e sottosegretario agli Esteri dell’ultimo governo Berlusconi - potrebbe non dispiacere al vecchio leader Massimo. Dal Medio Oriente all’Unione europea, dalle missioni in Niger a quelle in Libia, dal ruolo della Russia alla Brexit l’aspirante presidente del Consiglio sembra aver cambiato totalmente la rotta. L’Europa? «Non parlerò molto di Unione europea perchè l’Ue non è politica estera ma la casa naturale del nostro paese e anche del M5s e rappresenta un rapporto costante che dobbiamo avere con altri paesi all’interno di un organo sovranazionale che dovrà caratterizzarsi sempre più in politiche di solidarietà verso i popoli che in questo momento hanno più difficoltà nell’Ue. Tra questi c’è sicuramente anche l’Italia», spiega Di Maio, azzittendo l’ala radicale del suo partito. Il Patto atlantico? «Vogliamo restare nella Nato» ma nutriamo «perplessità» su decisioni come «il finanziamento fino al due per cento del Pil della spesa militare. Pensiamo che per la Nato serva un nuovo indirizzo». D’Alema troverebbe poco da ridire. Come sulla missione in Libia: «È stata una decisione sciagurata», sentenzia il capo pentastellato e sembra di sentire il fondatore di LeU, che poco più di un anno fa ripeteva: «La situazione in Libia è degenerata per il gravissimo ritardo della comunità internazionale: l’Isis non c’era due anni fa. È stato il protrarsi di un’inutile trattativa mal condotta dai rappresentanti delle Nazioni Unite a lasciare la Libia nel caos. Una gestione pessima». L’ex premier, inoltre, sarà stato felice di ascoltare la svolta grillina sulla tutela degli interessi nazionali in Libia. Perché se l’Eni, fino a poco tempo, somigliava al demonio per i 5 Stelle, adesso il capo politico parla del colosso energetico presente in Nord Africa come di un «interesse strategico rilevante. La funzione dell’Italia nel cercare di stabilizzare quell’area è importante». Un ragionamento del tutto simile a quello che non si stancava di ripetere l’allora capo del Copasir: «il governo si faccia carico dei rischi che conseguono dalle rivolte in Libia e Algeria che sono due paesi essenziali da cui largamente dipendiamo per quanto attiene l’approvvigionamento dell’energia. La Libia è parte essenziale del nostro sistema economico: sono azionisti rilevanti della più grande banca italiana, dell’Eni, Finmeccanica, Impregilo, il nucleo fondamentale del sistema imprenditoriale del nostro Paese». Sulla missione italiana in Niger Di Maio prende quasi in prestito le parole utilizzate da D’Alema una settimana fa. Se per il candidato grillino «non si capiscono le regole d’ingaggio, sembra più una missione di supporto ai francesi», per l’ex premier «bisogna rilanciare la leadership italiana, non fermarsi a fare accordi in Libia e mandare soldati in Niger sotto il comando francese. Forse la missione in Niger ci farà guadagnare qualche pacca sulle spalle da parte di Macron ma non si capisce dove sia l’interesse nazionale. In passato la nostra politica estera ha avuto momenti più alti: preferivo quando gli italiani guidavano le missioni Onu che ora, sotto il comando dei francesi». Per la sintonia totale bisognerà senz’altro limare qualcosa sul Medio Oriente, su cui il vice presidente della Camera si sofferma soprattutto per puntare il dito contro Hamas, ma la linea «due popoli, due Stati» per Israele e Palestina, condivisa da entrambi, è un ottimo punto di partenza da cui far partire un ragionamento politico.