In Italia l’insicurezza cresce. Ma solo nella testa degli italiani. I numeri, invece, raccontano un’altra storia: quella di un paese sempre più sicuro, tra i più virtuosi d’Europa per tassi di criminalità, con una percentuale di omicidi di 0,55 ogni 100.000 abitanti, decisamente inferiore alla media comunitaria che è di 0,9.

Nel 2024 sono stati registrati 319 omicidi il 6% rispetto ai 340 del 2023. Questo calo si inserisce in un trend decrescente che dura da trent’anni e che segna una spettacolare riduzione del 75% dei reati violenti. Sono numeri inequivocabili, eppure la percezione di insicurezza tra i cittadini è in crescita costante. Secondo un’indagine del Censis, l’83% degli italiani considera la sicurezza una priorità generale nella vita quotidiana, mentre il 65% vorrebbe un maggiore impegno del governo nel garantire la sicurezza urbana e nel contrastare la criminalità.

La discrepanza tra dati oggettivi e percezione soggettiva solleva interrogativi importanti: in che misura il sentimento insicurezza è stato alimentato dalla politica e dal sistema mediatico? Interrogativi che vengono da lontano. Dalla seconda metà degli anni 90 ai nostri giorni governi di ogni colore hanno infatti gareggiato tra loro nell’approvare “pacchetti sicurezza” di ogni genere con l’obiettivo di contrastare la criminalità, l’immigrazione, il decoro urbano e quant’altro.

Il primo di questi nel giugno del 1992 quando i ministri Claudio Martelli e Vincenzo Scotti, in un’Italia scossa dalla strage di Capaci, varano uno dei provvedimenti più severi della storia repubblicana: il 41 bis, il cosiddetto carcere duro per i mafiosi, una misura estrema, definita “una forma di tortura” dalla stessa Corte europea dei diritti umani (Cedu), ma che almeno all’epoa rispondeva a un’emergenza reale e non a un richiamo immaginario. Quell’anno gli omicidi commessi in nel paese devastato dalla guerra di Cosa Nostra allo Stato e dalle faide tra i clan furono circa 1500 (quasi duemila nel 1991). Per combattere lo spietato clan di Toto Riina in una Sicilia che somigliava sempre di più alla Colombia di Pablo Escobar il governo Amato mobilita anche l’esercito.

Sette anni dopo, mentre la criminalità continua a diminuire, il governo D’Alema, in risposta a un incremento marginale dei furti e alla percezione crescente di insicurezza urbana rilevata dai sondaggi di opinione, elabora un pacchetto che verrà poi approvato sotto il governo Amato bis. Il cuore del provvedimento era l’equiparazione sul piano penale tra microcriminalità e reati gravi: pene inasprite per scippi e furti in casa, estensione della custodia cautelare, poteri repressivi rafforzati per i questori e la polizia giudiziaria. E c’è una novità simbolica: la criminalità venne intrecciata, per la prima volta, al tema dell’immigrazione. D’Alema stabilisce una sovrapposizione diretta tra cittadini stranieri e criminalità, ma parla di “intreccio” tra immigrazione e reati diffusi. La porta si è aperta per non richiudersi più.

Verrà addirittura spalancata nel 2007, dopo l’omicidio di Donatella Reggiani, violentata e massacrata da un muratore rumeno alla stazione Tor di Quinto di Roma, un caso che scuote la società italiana con gran parte dei media che cavalca l’onda ansiogena, descrivendo un paese in stato d’assedio. Per reagire alle accuse di lassismo lanciate dall’opposizione di centrodestra il governo Prodi bis vara il “decreto espulsioni” per facilitare l’allontanamento dei cittadini comunitari, un provvedimento praticamente ad hoc, rivolto ai rumeni da pochi anni entrati a far parte dell’Unione europea. Con la caduta anticipata dell’esecutivo Prodi, è il terzo governo Berlusconi e il ministro

dell’Interno Roberto Maroni che trasformano il decreto in una legge più ampia sulla sicurezza pubblica che accorpa mafia, immigrazione, microcriminalità e decoro urbano. La legge introduce la possibilità per i sindaci di emettere provvedimenti in materia di “sicurezza urbana (migliaia le ordinanze emesse in quel periodo) e porta i militari nelle città italiane con il programma “Strade Sicure”. Nel mirino non solo reati gravi e i crimini violenti, ma anche i comportamenti “minori”: pene più severe per chi imbratta autobus e vagoni di treni e metropolitane, multe salatissime per chi getta rifiuti per terra, sanzioni aumentate per graffitari e artisti di strada, stretta sui locali notturni, divieto di consumare panini in prossimità dei monumenti.

Una sottile linea rossa unisce il pacchetto Maroni con il cosiddetto DASPO urbano introdotto nel 2017 dal ministro Antonio Minniti (governo Renzi) e mutuato dai DASPO per gli ultras delle squadre di calcio; un dispositivo amministrativo che vieta a un soggetto di accedere o stazionare in determinati luoghi pubblici, spesso in seguito a comportamenti considerati lesivi il decoro o la sicurezza pubblica. L’obiettivo è esplicito: senza tetto, prostitute, alcolisti.

Nel 2018 Matteo Salvini — da ministro dell’Interno del primo governo Conte nato dall’inedita alleanza tra Lega e Movimento 5 Stelle— ha rilanciato con forza l’agenda securitaria incentrata sulla lotta all’immigrazione con la politica dei “porti chiusi”. Il primo decreto (DL 113/2018) taglia la protezione umanitaria e svuota il sistema SPRAR, riducendo l’accoglienza a un fatto residuale. Poco dopo arriva il Sicurezza Bis, con multe milionarie alle ONG che salvano vite in mare e pene più dure per chi protesta in piazza. Con il Conte bis, stavolta sostenuto dal partito democratico, al Viminale arriva Luciana Lamorgese. Vengono ridimensionate le sanzioni alle ong e ridefiniti i criteri del sistema di accoglienza, con tempi ridotti di permanenza nei centri.

Nel 2022 sbarca Giorgia Meloni a Palazzo Chigi e l’agenda securitaria si ifittisce. Appena insediato, il governo approva il Decreto Rave: una norma scritta in fretta, all’indomani di un party non autorizzato in provincia di Modena. Le nuove pene prevedono fino a sei anni di carcere per “raduni pericolosi”. Pochi mesi dopo, una nuova tragedia impone l’ennesimo giro di vite. A Cutro, sulle coste calabresi, un barcone si schianta: 94 i morti. Il governo risponde con un decreto che inasprisce le pene per scafisti e restringe l’accesso alla protezione umanitaria. Nell’estate 2023 esplode il caso di Caivano — un’aggressione sessuale su due adolescenti in un contesto di degrado — il governo risponde con una mossa muscolare: un nuovo decreto sicurezza che interviene ad ampio raggio, dalla dispersione scolastica ai reati minorili, fino all’uso dell’esercito in “aree a rischio”.

Nel 2025 l’ultimo decreto omnibus: reati seriali, manette per chi aggredisce le forze dell’ordine, più poteri ai sindaci, riforma della polizia locale. Ma ancora una volta, al centro non ci sono i dati — che mostrano un calo costante della criminalità — bensì quel sentimento di insicurezza che da oltre trent’anni detta i tempi della politica italiana.