Draghi, Draghi. Draghi. Per fortuna che Mario c'è. Supermario colpisce ancora. Da mesi, all'indomani di ogni decisione appena un po' delicata del governo, si ripete la stessa sceneggiata. Il governo fa filtrare in anticipo le sue intenzioni. Qualcuno, di solito la Lega, annuncia il suo parziale disaccordo, senza mai ruggire e anzi belando. Il governo apporta qualche lievissima e cosmetica correzione. Draghi impone senza neanche dover alzare la voce la sua decisione. La stampa tutta e la stragrande maggioranza dei politici commentano entusiasti: “Evviva”. Inutile segnalare che il copione è stato messo pedissequamente in scena di nuovo con le decisioni sul Green Pass per il personale scolastico di qualche giorno fa.

L'eccezione sembra essere la riforma della giustizia, dove un po' il governo ha trattato davvero, ma è più apparenza che sostanza. Il processo penale non rientrava negli interessi primari del premier, essendo la riforma di quello civile il vero punto nodale per Bruxelles. In questo caso il suo interesse era più politico che di sostanza: doveva incassare un accordo unanime, senza troppe defezioni, senza lasciarsi dietro una scia di malumori. Ha centrato in pieno il bersaglio e anzi nel passaggio Conte è slittato da una posizione frondista al sostegno leale. Supermario, appunto. Sarebbe forse il caso di calmierare entusiasmi e commosso trasporto. La rosa di Draghi ha le sue spine e sono acuminate. La necessità di operare sbrigativamente, tanto per citare una delle più puntute, ha reso operativa la riforma costituzionale Renzi, pur bocciata nel referendum. È ormai prassi che una delle due Camere, a turno, discuta i provvedimenti e intervenga. La seconda ratifica con la fiducia. Non è proprio quel che s'intende per bicameralismo e la riforma Renzi, se s'intende così il bicameralismo, era più razionale e meno dispendiosa.

L'intervento stesso della Camera di volta in volta chiamata a discutere e non solo ad approvare è di solito molto limitato. Le leggi le fa l'esecutivo per decreto. Il Parlamento ritocca, se e quando il governo consente. Si potrebbe a ragion veduta dire che la tendenza non è nuova. Lo scippo del potere legislativo da parte di quello esecutivo grazie alla tagliola, decretazione d'urgenza- voto di fiducia, è già antico. Ci sono però differenze significative. La prima, non introdotta da Draghi, è che su quel sentiero si sono fatti negli ultimi anni passi da gigante, grazie soprattutto ai governi Renzi e Conte 2. La seconda è invece più recente. I governi precedenti dovevano comunque passare al vaglio se non del Parlamento dei segretari di partito che li sostenevano. Cioè, comunque e sia pure in forme oligarchiche, con la politica. Non è più così. Il governo decide da solo e anche parlare di governo è un'esagerazione dal momento che si tratta piuttosto di un gruppo ristretto di ministri.

Che le cose stiano così è fuori di dubbio, tanto che a lamentarsene sono spesso, nel disinteresse generale, gli stessi partiti della maggioranza. Trattasi però solo di una parentesi, circostanza eccezionale che lascerà poi il dovuto spazio alla “normalità” quando sarà possibile. Solo che la “normalità” in questione non esiste. Il Covid prima e l'arrivo di un governo commissariale poi hanno impattato su una situazione già in sfacelo, su una politica che era già debolissima e proprio per questa debolezza, oggi, non riesce a difendere neppure posizioni minimali. Il governo Monti, dieci anni fa, a processo già iniziato ma non ancora inoltrato, poteva ancora figurare come “parentesi”, commissariamento imposto da Bruxelles con un mandato preciso e limitato, assolto il quale si sarebbe tornati alla norma. Non è stato così e dalle elezioni del 2013 in poi non c'è più stata alcuna norma, come la girandola farsesca delle leggi elettorali comprova. Tuttavia era lecito pensare che così sarebbe andata, e in effetti senza la debolezza estrema e intrinseca del sistema politico già allora le cose avrebbero probabilmente preso quella piega.

La situazione oggi, però, non è neppure alla lontana paragonabile a quella di allora. La tendenza che Draghi sta portando alle estreme conseguenze, in nome dell'efficienza e del pragmatismo, era già dilagante con l'ultimo governo Conte. Il Covid, anche con l'evocazione di paure irrazionali che implica da tutte le parti, travolge le già deboli resistenze alla spinta verso la fuoriuscita di fatto da una sostanziale democrazia parlamentare. La politica è molto più debole di quanto non fosse nel 2011, quando era già debolissima. Non è che “Piove sul bagnato”. Diluvia sull'alluvionato.