Il voto alla Camera sull'Italicum ha il pregio di offrire una fotografia quanto mai nitida dello stato - confusionario ma non imperscrutabile - in cui versa il tripolarismo italiano. Tre schieramenti tutti piuttosto pencolanti e tutt'altro che strutturati e che il voto referendario minaccia di ulteriormente lesionare. La riforma elettorale resta il convitato di pietra sul cammino che porta al referendum costituzionale ma se ne parlerà dopo il verdetto delle urne. Solo che a quel punto, come già sottolineato per tempo, rischia di essere archiviato prima ancora di cominciare. Se infatti vincerà il Sì, sarà il premier, fortemente rafforzato, a decidere se e come intervenire: e magari non interverrà affatto visto che l'Italicum a palazzo Chigi piace, e molto, così com'è. Se invece prevarrà il No, il nuovo meccanismo elettorale finirà dritto nel cestino (vale solo per la Camera, mentre con la bocciatura delle modifiche costituzionali il Senato resterebbe in vigore), ennesimo paradosso italiano di una riforma cancellata senza mai essere stata applicata. Vero è che resta appeso il pronunciamento della Corte Costituzionale, rinviato al 2017. Ma di quale entità possa essere nessuno lo sa: se vincesse il No risulterebbe inutile; se invece toccasse al Sì sarà comunque il presidente del Consiglio a dare le carte.Non basta. Vero è che dopo averlo esaltato, il premier ora fa mostra di possibilismo per eventuali modifiche alla riforma. Lo scetticismo, tuttavia, prevale. Ma l'ultra variegato ventaglio di proposte in campoe l'indisponibilità (che maschera divisioni interne) del centrodestra a discuterne prima del referendum porta acqua al mulino renziano: non esiste in Parlamento una maggioranza possibile per cambiare la legge appena entrata in vigore.Non a caso la mozione unitaria presentata dalla maggioranza è stata volutamente generica. Fosse stato per lui, Renzi avrebbe preferito neppure presentarla limitandosi ad invitare il Pd e gli alleati di governo a votare contro il documento di Sinistra Italiana che accusa l'Italicum di pesanti vizi di incostituzionalità. Non così Ncd, desideroso di marcare i confini della coalizione e ribadire l'essenzialità del suo apporto sia in termini politici che numerici. Il premier alla fine ha ceduto pagando un prezzo politico esiguo. La mozione infatti è talmente indefinita da consentire amplissimi margini di manovra. Ma al tempo stesso ne sancisce la vacuità applicativa. L'unica modifica possibile sembra essere il trasferimento del premio di maggioranza dalla lista alla coalzione. Farebbe felice Alfano. Che però non si fida fino in fondo: se vince il Sì Renzi finisce uber alles eccetera eccetera.Il Pd arriverà al voto referendario lacerato e su posizioni contrapposte. Il voto a Montecitorio è stata la prova generale di quel che accadrà quando il referendum verrà celebrato. La minoranza pd ha deciso di uscire dall'aula per non votare alcuna mozione, neppure quella di SI, «in modo da allontanare i sospetti di posizione strumentale», ha spiegato Davide Zoggia. Tra renziani e sinistra del partito è guerra totale. La possibile convocazione della Direzione a fine mese getterà altro sale sulle ferite. I bersaniani hanno presentato al Senato una proposta che riprende il Mattarellum ed elimina il ballottaggio: è la plateale conferma che, allo stato, i possibili punti di sintesi sono evanescenti; e niente autorizza a credere che la situazione possa cambiare.Il centrodestra ritrova compattezza su un tema decisivo: un risultato magari effimero viste le differenziazioni che che albergano al suo interno su quel modello elettorale privilegiare, ma che tuttavia consente di offrire all'esterno una immagine di solidità che di questi tempi ha lo stesso effetto di un'oasi nel deserto. Nel documento presentato da FI, Lega e Fdi tutto è rimandato a dopo il referendum. Come spesso accade in questi casi, il non scritto vale più di dello scritto: la mozione unitaria avverte che unitario sarà anche il No di fronte alle urne. Risultato non banale e non scontato: per recuperare le divaricazioni su euro, Ue e immigrazione c'è tempo. E il dispiegamento dell'azione di Berlusconi, abilissimo a tenere il piede in tutte le staffe.Infine i Cinquestelle. L'invocazione del ritorno al proporzionale ha sollevato gli entusiasmi di Paolo Cirino Pomicino. Ma è solo tattica. Quel che interessa davvero ai grillini è il no alle Olimpiadi di Roma ufficializzato dal sindaco Virginia Raggi. Il resto è come l'intendenza di De Gaulle: seguirà. La priorità pentastellata è disarcionare Renzi e tutti i modi sono ammessi. Se al referendum vince il Sì e dunque il ballottaggio resta, poco male visto che i sondaggi all'unanimità dicono che sarà tra loro e il Pd. Se vince il No, il proporzionale è come il faro che attira le falene. Senza fare l'esame del sangue se sono quelle della Prima Repubblica.