Da una parte l'ostruzionismo dell'opposizione, dall'altra la determinazione del governo che tira diritto pronto se necessario, e quasi certamente lo sarà, ad arrivare in aula senza il voto della commissione: fa comodo a entrambe le parti giocare la partita dello scontro frontale sul tema dell'immigrazione. Per il governo come per l'opposizione la sostanziale uniformità di vedute sui conti pubblici è imbarazzante, l'immigrazione permette invece un fronteggiamento non solo politico ma etico, tale quindi da rappresentare il massimo richiamo per i rispettivi elettorati.

La vittoria politica, al momento, è della Lega. La versione originale del dl Cutro, nonostante il roboante annuncio di voler inseguire i trafficanti «in tutto l'orbe terracqueo», era in realtà quasi insignificante. I “trafficanti” a cui si può dare la caccia, in concreto gli scafisti, non sono certo i vertici delle organizzazioni bensì i penultimi e a volte gli ultimissimi, quelli che accettano di pilotare i barconi perché non hanno neppure i soldi per il viaggio. Il Carroccio si è impuntato per una stretta reale e con l'azzeramento della protezione speciale la ha avuta vinta.

Anche in questo caso si tratta in buona misura di propaganda. Le protezioni speciali che il nostro Paese concede sono in linea con quelle degli altri grandi Paesi europei e comunque un terzo di quelle tedesche nel 2022 e la metà di quelle spagnole. L'esito della fine della “protezione speciale” rischia di risolversi solo in un'impennata del numero dei clandestini e la protesta dei sindaci e dei governatori di centrosinistra si spiega solo in parte con ovvie ragioni di schieramento politico: il decreto, soprattutto nelle grandi città, può fare danno davvero.

Resta da vedere se la Lega si accontenterà di aver conquistato l'obiettivo principale e ritirerà tutti gli emendamenti o proverà a forzare ancora ritirando solo quelli assorbiti dagli emendamenti del governo e lasciando gli altri: diminuzione dei permessi di soggiorno e facilitazione della loro revoca, modifica delle norme sulla permanenza nei Cpr, creazione di una “struttura di missione” di fatto gestita dal Viminale, cioè da un ministro che la Lega considera di pieno affidamento come Piantedosi.

Per ora la Lega non sembra intenzionata a ritirare gli emendamenti non assorbiti dagli interventi del governo e la cosa indispettisce FdI e irrita la premier. Il problema non riguarda solo la competizione per la conquista delle fasce elettorali più ostili all'immigrazione, che pure esiste e spiega la scelta leghista di tenere duro su tutto il pacchetto di irrigidimenti richiesti. Meloni però è preoccupata soprattutto per le reazioni del Colle.

Nessuno a Chigi ha dimenticato le critiche formali mosse dal capo dello Stato ai decreti Salvini, ai tempi del governo Conte 1, e tutti, in compenso, sono pienamente consapevoli di quanto negativo anche sul piano dell'immagine in Europa sarebbe un nuovo intervento critico del Colle dopo quello sulle concessioni balneari.

Il presidente, probabilmente, non apprezza affatto un decreto che considera inutilmente feroce e privo di spirito solidaristico e che contrasta con la sua intera politica. Ma al momento è fermo nella decisione di evitare frizioni con un governo democraticamente eletto. La linea non oltrepassabile è la costituzionalità dei provvedimenti, ma quello è un verdetto che spetta soprattutto alla Corte costituzionale. Anche nell'intervento di ieri da Varsavia Mattarella è stato in realtà molto attento a evitare conflitti con il governo, prendendo invece di mira, del resto a ragion veduta, l'Europa le sue leggi «preistoriche» in materia d'immigrazione. Una posizione che certo non dispiace all'inquilina di palazzo Chigi.

Al momento tutto lascia pensare che Mattarella firmerà il dl senza intervenire formalmente. È probabile che dirà qualcosa, appena capiterà l'occasione ma senza mettersi di mezzo. Potrebbe però irrigidirsi se, alla già sgraditissima stretta sulla protezione, si aggiungessero anche le altre restrizioni che invoca la Lega.