Nemmeno il tempo di chiudere gli ombrelloni e riprendere a solcare il Parlamento che la questione dell’abrogazione del reato d’abuso d’ufficio è tornata al centro del dibattito politico, anche tra le diverse componenti interne ai partiti. Il tutto dopo le audizioni in commissione Giustizia a Palazzo Madama di due giorni fa, durante le quali l’ipotesi di riforma è stata difesa dalla maggioranza e contestata dal presidente dell’Anac, Giuseppe Busià, e da quello dell’Anm, Giuseppe Santalucia.

Forti di queste peraltro previste posizioni contrarie, i senatori del Pd in commissione Alfredo Bazoli, Franco Mirabelli, Anna Rossomando e Walter Verini hanno diramato una nota in cui sostengono che «con l’abolizione dell’abuso d’ufficio, condotte come quella del pubblico funzionario che altera un concorso per favorire un amico, che nega un permesso edilizio per mera ritorsione, che non si astiene in una decisione che coinvolge propri interessi personali, non saranno più sanzionate penalmente». E ancora: «Oltre a vuoti normativi, vi sono note difformità rispetto ai vincoli internazionali sempre secondo gli esponenti dem -.

Non ci siamo mai sottratti a un confronto su una ulteriore definizione del reato e abbiamo da tempo proposto soluzioni concrete per andare incontro alle esigenze dei sindaci e degli amministratori locali», proposte come quelle su «reati omissivi impropri, responsabilità indiretta» e sulla «modifica della legge Severino». Il riferimento è alle due proposte targate Pd che puntano non alla cancellazione ma alla tipizzazione dell’illecito tuttora previsto all’articolo 323 del codice penale, per evitare, come accreditato da Busia in audizione, che «per il giustissimo obiettivo di offrire certezza normativa» si possa finire per provocare «incertezze ulteriori», portando a una «riespansione di altri reati».

Peccato però che, come noto, i primi a chiedere non semplicemente una modifica ma l’abrogazione in toto del reato siano i primi cittadini, di cui molti dem, sopraffatti da anni di gogna mediatica e guai giudiziari derivanti da inchieste, proprio per abuso d’ufficio, finite poi nel nulla. Ma Rossomando non la vede esattamente in questo modo. «Le due proposte di legge presentate nella scorsa legislatura sono state tenute ferme dalla destra ma sono ciò che interessa davvero ai sindaci sostiene, interpellata dal Dubbio, la senatrice dem e vicepresidente di Palazzo Madama -. La prima proposta modifica puntualmente la Severino proponendo la cancellazione della sospensione dalla carica dopo una condanna non ancora definitiva, eccetto che per reati di grave allarme sociale. La seconda proposta riguarda la modifica del testo unico sugli enti locali riguardo a vicende come quella della sindaca di Crema».

Sono questi punti, e non la cancellazione secca dell’articolo 323, che secondo Rossomando permetterebbero a tutti gli amministratori pubblici, e in primis ai sindaci, di lavorare con più serenità.

«Nelle audizioni è stato detto che la notevolissima sproporzione tra il numero delle denunce e quello delle condanne nel 2021 è dovuto al fatto che nel 2020 è entrata in vigore la nuova normativa, e quindi tutti i casi precedenti sono stati archiviati o definiti con un’assoluzione - aggiunge l’esponente del Pd -. Noi teniamo così tanto alle opinioni dei sindaci, del Pd e non, che distinguiamo i due piani: quello dell’abuso d’ufficio, per cui sono state già fatte le modifiche di cui sopra, e altri tipi di reato come quello che ha riguardato la sindaca di Crema e per i quali anzi proporremo di calendarizzare le modifiche, ma che sono diversi dall’abuso d’ufficio». Troppo spesso, conclude Rossomando, «si fa confusione».