Dire che la strada è in salita è dire poco. A Bruxelles si tratta di scalare montagne e senza ancora arrivare alla posta più grossa, il nuovo Patto di Stabilità. Non che di quello si taccia: sarebbe impossibile. I capi di governo ne parlano a latere, informalmente, magari in una cena che comincia a due, Macron e Meloni, e dopo il dessert diventa a tre perché si aggiunge anche Scholz. Però su quel fronte, anche se i tempi stringono, almeno non bisogna arrivare a una conclusione subito come sugli altri capitoli incandescenti. Però, dato che sempre di soldi si parla, la discussione, ma tanto varrebbe chiamarla la battaglia, sul bilancio europeo basta a far capire qual è il clima nella Ue e quale probabilmente resterà quando, tra pochi giorni, i ministri delle Finanze dovranno provare a chiudere sul Patto.

Al momento gli scogli sono altri e aggirarli nella prima giornata del Consiglio europeo sembra, se non proprio impossibile, certo molto difficile. Il primo è l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione europea. Zelensky, in videocollegamento, è stato accorato e amaro: «Non tradite la fiducia dei cittadini nei confronti dell'Europa. Gli europei non vedranno alcun beneficio se Mosca riceverà un lasciapassare da Bruxelles sotto forma di negatività nei confronti dell'Ucraina». Orbàn non si commuove. Puntava i piedi e non lo smuove il quartetto di punta dell'Unione in un colloquio “molto teso”. La presidente della Commissione von der Leyen, quello del Consiglio Michel, Scholz e Macron provano in tutti i modi a convincere l'ungherese, ricordano il presente con il quale hanno cercato di rabbonirlo, lo sblocco di 10 miliardi per i Fondi di coesione, sin qui congelati in attesa che lo Stato di diritto trovi alloggio a Budapest. Orbàn non si accontenta, anche perché restano bloccati i 21 miliardi del Pnrr e circa altri 6 per fondi vari. Dopo il quartetto è il turno di Giorgia Meloni. La soluzione, farà poi capire la premier italiana, viene trovata in quel colloquio. Al momento del voto Orbàn non si presenta e permette così un voto unanime degli altri 26 sulla decisione di avviare le pratiche per l’ingresso nell’Unione di Ucraina e Moldavia. Zelensky esulta: «Vittoria per tutta l’Europa». E Giorgia pure, «l’Italia ha avuto un ruolo decisivo».

Il premier ungherese è contrario alla proposta di inserire nel bilancio europeo 17 miliardi per Kiev, ai quali se ne dovrebbero aggiungere altri 33 a debito: «Sino alle prossime elezioni e all'insediamento della nuova Commissione quella è una linea rossa che non si può valicare. Il sostegno a Kiev dovrà passare non per il bilancio europeo ma per un fondo ad hoc finanziato dagli Stati ed extrabilancio». Ma quella sulla revisione del bilancio è una guerra di tutti contro tutti. La proposta iniziale della Commissione prevedeva un aumento del bilancio molto robusto: 66 miliardi da dividersi tra i fondi per l'Ucraina, quelli per il contrasto all'immigrazione clandestina, 12,5 miliardi, e quelli per il sostegno alle imprese, altri 10. Il muro dei Paesi nordici però è stato invalicabile.

Ieri, in apertura dei lavori, il presidente Michel ha presentato una nuova e molto ridimensionata proposta: 22 miliardi di nuovi fondi, 8,5 dei quali destinati all'immigrazione, per le imprese ci sarebbero 1,5 miliardi ma concentrati solo sulla difesa. Ma i frugali si sono opposti anche qui, accettano il via libera solo per i fondi freschi per l'Ucraina.

Così la discussione, appena cominciata, si è arenata, gli sherpa si sono messi al lavoro cercando una soluzione e il Consiglio è passato a discutere un tema ancora più spinoso, quello dell'allargamento. Alla viglia si era diffusa la voce di un'Italia pronta a mettere il veto sull'Ucraina senza lo sblocco sul bilancio e senza l'inclusione nell'allargamento anche della Bosnia. Notizia priva di fondamento ovviamente: sull'Ucraina Meloni non può e non vuole arretrare di un centimetro ma che basta a rendere l'idea della tensione, dovuta anche all'impennata degli interessi sui debiti del Pnrr in seguito alla stretta sui tassi che la Bce, come del resto previsto, ha confermato ieri di non voler allentare e si tratta di 5 miliardi ogni anno.

Con un fronteggiamento di questo genere la trattativa delle ultime ore sul Patto sarà durissima. Tutti ripetono che c'è accordo “quasi” su tutto: il problema è però che tutto finirà per dipendere proprio dalla sorte di quel “quasi”.