Contrordine compagni: rientriamo nel Pd. È questa, in estrema sintesi, la linea indicata da Roberto Speranza, ministro della Salute e leader di Articolo Uno, ai colleghi del partito nato proprio da una scissione col dai dem all’epoca del renzismo. E ora che Renzi non c’è più da tempo e che al posto del senatore di Rignano sull’Arno al Nazareno siede Enrico Letta, Speranza - insieme ai vari Nico Stumpo, Alfredo D’Attorre e Federico Fornaro - è convinto che sia arrivato il momento di ricongiungersi alla “casa madre”. L’occasione per la reunion, del resto, è dietro l’angolo ed è stata servita dallo stesso Letta su un piatto d’argento ai vecchi compagni: le Agorà, un luogo di confronto oltre il perimetro del Pd per costruire quel tanto citato «campo largo» e competere alle prossime elezioni col centrodestra.

Speranza ha colto la palla al balzo e iscritto Articolo Uno alla “piattaforma” lettiana per non lasciarsi sfuggire l’ultima scialuppa utile per sopravvivere a tempeste improvvise e soglie di sbarramento inarrivabili. Insomma, ora che la finestra si è riaperta il ministro non intende tergiversare oltre. Basterà provare a inserire qualche tema abbastanza vago nel programma dem - lavoro, ambiente, ecc. - per dire di aver spostato a sinistra l’asse del “nuovo Pd” e il gioco sarà fatto. Con tanto di felicitazioni da parte di Letta, già soddisfatto per la «scommessa» fatta dal ministro.

«Ma non tutti nel partito la pensano come Speranza», rivela un dirigente di Articolo Uno, «c’è chi non è interessato ad annessioni che non comportino la nascita di un nuovo soggetto politico» . In altre parole: o il Pd cambia nome (e organismi) o bisogna pensare ad altre formule per l’allargamento del campo. A remare contro la “rifusione” a freddo è soprattutto la vecchia guardia del partito, capitanata da Pier Luigi Bersani. Un pezzo della “Ditta” non sembra troppo intenzionata ad “arrendersi” senza condizioni. E la condizione principale resta un ripensamento complessivo del progetto lettiano.

In alternativa si potrebbe concepire una sorta di “federazione” che tenga insieme i due partiti all’interno di un’alleanza più ampia in cui far convergere le altre organizzazioni eventualmente interessate: dai 5 Stelle a Italia viva, se necessario. In gioco non c’è solo una romantica “visione” politica da tutelare ma anche - se non soprattutto - la terrenissima sopravvivenza dei singoli al prossimo giro. Chi contrasta la linea Speranza crede in altre parole che il segretario voglia chiudere un patto con Letta semplicemente per garantire la rielezione a lui e ad altri due, massimo tre esponenti, di Articolo Uno tra le file del Pd. Agli altri non resterebbe che la gioia di esultare per la riconferma di quei pochi compagni scampati al disastro.

La prospettiva, ovviamente, non è particolarmente allettante per quel piccolo esercito di parlamentari e funzionari che puntano a loro volta alla riconferma o hanno atteso per anni il loro turno. Tanto che nei giorni scorsi ben tre segretari regionali hanno messo in chiaro la loro posizione con una nota ufficiale. «Partecipare alle Agorà non significa aderire al Pd», hanno scritto il toscano Simone Bartoli, il piemontese Dario Omenetto e il siciliano Pippo Zappulla. «Ciò che occorre è ricostruire una grande forza della sinistra: un partito “robusto” nell’ideologia e nell’organizzazione che rappresenti il lavoro». Insomma, nessuna «adesione progressiva al Pd», mettono in chiaro i tre, perché restano «profonde divergenze su temi politici, programmatici e valoriali di fondamentale importanza».

L’ambizione, per i tre segretari regionali, deve essere quella di contribuire a «definire la cornice di una piattaforma unitaria del centro-sinistra e della coalizione che si candida la governo del Paese». Non «per l’autoconservazione di un piccolo gruppo ma per contribuire a dare una casa comune al variegato e deluso mondo della sinistra».

Tutto dipenderà ovviamente dalla legge elettorale, ma alcuni cominciano già a fantasticare sul futuro. E se Speranza forzasse la mano lasciando fagocitare Articolo Uno dal Pd, per molti esponenti ex “scissionisti” sarebbe il tana libera tutti. Qualcuno già guarda con interesse a cosa si muove altrove, a partire dai movimenti legati ai sindaci. Come i Verdi di Beppe Sala. «Se in campo ci fosse direttamente il sindaco di Milano, insieme ad altre personalità, non sarebbe un contenitore vuoto», confida il dirigente non allineato. L’unico rischio, dietro l’angolo, è che il campo più che allargarsi si frammenti ulteriormente, in un istinto masochista tipico della sinistra italiana.