Era già chiarissimo, però mai ufficializzato. Il governo si affidava alle perifrasi, ai giri di parole, al detto e non detto. «Il Pnrr deve essere rimodulato», «serve una revisione a 360 gradi», «on tutti gli obiettivi sono realizzabili nei tempi dati». Ora il ministro responsabile dell'attuazione del Piano, Raffaele Fitto, mette da parte la diplomazia e parla fuori dai denti. Del resto era stato proprio lui già da un paio di mesi, a lanciare l'allarme. Ora, intervistato dalla Stampa, va molto oltre: «Gran parte del Pnrr non è spendibile. Stiamo immaginando cambiamenti importanti. Ciò comporterà il definanziamento di una serie di interventi. Il Pnrr va smantellato profondamente e cambiato anche negli obiettivi. Altrimenti ci facciamo molto, molto male».

Ce lo stiamo già facendo in realtà. L'incidenza del Piano sul Pil è decisamente al di sotto delle attese. La terza rata, 19 miliardi che sarebbero dovuti entrare il 28 febbraio, è ancora nel congelatore a Bruxelles: prima la Commissione ha chiesto un mese di proroga, poi un altro e da quando sono finalmente arrivate le correzioni richieste e apportate dall'Italia, è impegnata a “valutare”. La quarta rata, quella di fine giugno, 16 miliardi, è a rischio. La Corte dei Conti ha segnalato già da tempo che neppure quegli obiettivi sono a portata di mano. Il governo si è imbufalito. Ha denunciato l'invasione di campo, forse anche a ragione. Ma aree di competenza a parte il problema era ed è reale.

L'ammissione di Fitto, onesta e giusta, crea una quantità di problemi. Il primo, interno alla maggioranza, riguarda l'accesso all'intera somma messa a disposizione dalla Ue con il Recovery Plan. Nel complesso sono circa 191 miliardi, parte dei quali a fondo perduto (i cosiddetti Grants). Ci sono però 123 miliardi in prestito (i Loans). La decisione di accedere a tutta la somma, inclusi i Loans, la prese il governo Draghi e non era affatto scontata in partenza. Tanto che nessuno tra i grandi Paesi europei ha chiesto i prestiti e anche chi lo ha fatto, come la Grecia o Cipro, si è accontentata di una piccola parte, come in realtà progettava di fare anche Conte prima di essere defenestrato.

Draghi mirava a una terapia d'urto ma in un quadro molto diverso da quello attuale, senza guerra e senza inflazione. Ora, quindi, la Lega, senza mai proporlo apertamente, fa capire, anzi dice apertamente anche se mai per bocca di Salvini, che quella decisione dovrebbe essere rivista e l'Italia dovrebbe rinunciare a una parte dei finanziamenti in prestito. La reazione della premier è stata di totale opposizione e si può facilmente capire perché: una volta chiesti tutti i Loans, rinunciare a una parte suonerebbe come ammissione di incapacità. Il governo presterebbe il fianco alle critiche feroci dell'opposizione, che già fioccano, ma soprattutto invierebbe un segnale di debolezza molto pericoloso ai mercati e ai falchi della Ue, che hanno ricominciato a cingere d'assedio l'Italia.

Ma è facile prevedere che, dopo l'uscita di Fitto, il Carroccio tornerà alla carica e con ben altre frecce nella propria faretra. Per evitare il dolorosissimo passo l'unica via è una riscrittura radicale del Piano e la creazione di un sistema di vasi comunicanti con altri fondi europei come il RePowerEu e il Fondo di coesione, in modo da poter scavallare la data proibitiva entro la quale devono essere portati a termine gli obiettivi del Pnrr, giugno 2026. Qui però gli scogli sono molti di ogni tipo. Prima di tutto riscrivere il Piano e proporre la nuova versione alla Ue non è affatto facile. Fitto assicura che il lavoro è avanzato. La proposta deve essere presentata entro il 31 agosto. Ma è certo che anche una eventuale Europa molto ben disposta stavolta lo passerà al pelo e contropelo e riscrivere in pochi mesi un Pnrr in grado di passare un esame stavolta severo è davvero arduo.

In secondo luogo la Commissione ha sempre sottolineato che i Piani approvati non possono essere cambiati radicalmente ma solo corretti e rimaneggiati moderatamente. La necessità dell'Italia è diametralmente opposta e ad accettare di fare il contrario di quanto solennemente ripetuto per mesi deve essere un'Europa molto irritata per la mancata ratifica del Mes da parte della sola Italia. Non sarà facile neanche questo.

Infine il sistema di vasi comunicanti senza il quale molti progetti, anche tra quelli ancora considerati realizzabili, mancherebbero la scadenza del giugno 2026 deve a propria volta essere accolto dall'Europa e valgono anche qui le considerazioni che pesano sulla richiesta di riscrittura del Pnrr. Quali armi ha in mano Meloni in una situazione così critica? Gli strumenti su cui la premier italiana può contare sono due: il progetto di asse Popolari- Conservatori sul quale punta il tedesco Weber e soprattutto l'iperatlantismo dell'Italia, molto gradito a Washington. Non sono affatto armi di poca potenza ma anche così il Pnrr per questo governo, e non solo per sue colpe, sarà un Vietnam. Anzi, lo è già.